La guerra dei barbari

General Summary

31 germinaio 1079
Amhanfuar guidò Mulcrist fino alla tenda di Onemwar ed insieme i due entrarono silenziosamente per non interrompere il rituale in corso. La kithlas ed il toròs della tribù del gufo sedevano l’una di fronte all’altro e tra di loro bruciava un piccolo focolare. La piccola Aishwar sedeva vicino ad Onemwar e ne seguì gli eleganti movimenti della mano mentre la kithlas sbriciolava una mistura di foglie essiccate e la lasciava cadere sul fuoco, generando un intenso fumo.
“Cerca la risposta alla domanda del toròs” spiegò sottovoce Amhanfuar a Mulcrist.
“Che cosa vedi?” domandò Onemwar alla bambina fissando il fumo che si levava.
“Alberi” rispose Aishwar dopo averci riflettuto un po’.
“Quasi” disse la kithlas sorridendo, “il fato sorride al nostro toròs”.
La sciamana diede quindi a Kemsur la risposta che questo stava cercando in lingua keish.
“Gli dèi benedicono la decisione di Kemsur” tradusse Amhanfuar, “guiderà un attacco contro un accampamento di orchi”.
Il toròs fece un’espressione soddisfatta, poi disse qualcosa nella sua lingua alla bambina e questa lo ringraziò. Onemwar fece quindi cenno ai due nuovi arrivati di avvicinarsi, mentre Kemsur prendeva congedo. Giunto sulla soglia, il toròs si arrestò e disse qualcosa. Le due kithlas rimasero interdette, così il capotribù insistette e stavolta Mulcrist udì il proprio nome.
“Kemsur ti invita ad unirti al gruppo di guerrieri che lo seguiranno in battaglia contro gli orchi” spiegò Onemwar.
Il toròs girò la testa in modo da poter vedere con la coda dell’occhio ciò che accadeva alle proprie spalle. Amhanfuar stava guardando Mulcrist ma poi rispose senza attendere che il compagno dicesse la sua.
“Accetta” disse, “he tuaré”.
Kemsur grugnì in segno di approvazione ed uscì dalla tenda. Un attimo dopo fece il suo ingresso una donna con un bambino in braccio.
“Mio figlio” disse Onemwar prendendo in braccio il piccolo.
Seguì un dialogo in lingua keish tra le due kithlas, poi il bambino fu consegnato ad Amhanfuar.
“Aishwar, Onemwar vuole che leggiamo il futuro di Oikur” spiegò la sciamana sorridendo al piccolo tra le sue braccia.
Mulcrist rimase quindi in silenzio ad osservare la bambina aiutare la kithlas a preparare il rituale. Si trattava di una procedura più semplice di quella adoperata due sere prima per il guerriero, così dopo poco Amhanfuar lanciò i suoi ossi e ne studiò la posizione insieme ad Aishwar.
“Gli dèi benedicono ancora la tribù del gufo” annunciò poi, “Oikur sarà un grande kithlas”.
La madre del bambino se ne compiacque e ringraziò Amhanfuar.
“Partiremo domani” disse poi Onemwar a Mulcrist.
“L’invito di Kemsur mi sembra una cosa positiva, è così?” domandò il guerriero.
“Lo è, anche se sospetta” rispose Amhanfuar.
“Accompagnerò la spedizione” aggiunse Onemwar, “cercherò di guardarti le spalle perché non lo farà nessun altro, ma in battaglia sarai solo”.
“Farò attenzione” promise Mulcrist, “immagino che non avessi altra scelta che accettare”.
“In realtà nessuno può obbligarti, ma la scelta è l’unica possibile se vuoi sperare di cambiare la tua posizione. Kemsur ti ha offerto un’occasione importante, cerca di non sprecarla” disse Onemwar.
“Mi domando se Kemsur speri nella morte di Mulcrist in battaglia” rifletté Amhanfuar.
“No” ribatté prontamente Onemwar, “non è uno sciocco. Sa che ha davanti un grande guerriero dell’ovest. Più probabilmente vuole vederlo combattere”.
“Spero di non deluderlo” disse Mulcrist sospirando.
“Con la tua abilità, è improbabile” commentò Amhanfuar con un sorriso gentile.
“Perché mi hai portato qui oggi?” domandò Mulcrist.
“Perché volevo che tu vedessi come stiamo insegnando ad Aishwar” rispose la kithlas accarezzando i capelli della bambina.
Poi le due si scambiarono qualche parola nella lingua dei barbari.
“In effetti, credo farebbe bene anche a me cercare di imparare qualche parola in più” ammise Mulcrist.
“Potete farlo adesso” disse Onemwar riconsegnando il figlio alla donna della tribù che gliel’aveva portato, “io devo fare visita ad alcuni malati e probabilmente impiegherò l’intero pomeriggio”.
Fu così che Mulcrist ed Aishwar passarono il resto della giornata a ripetere le parole e le frasi che Amhanfuar insegnava loro
Più tardi, Mulcrist lasciò che la kithlas e la bambina andassero ad aiutare Onemwar e si aggirò per l’accampamento da solo, cercando di comprendere vantaggi e svantaggi della cultura di quel popolo. Gli zaré allevavano principalmente galline e capre, che si aggiravano ovunque tra le tende ed i carri. Di questi ultimi solo una parte era dotata di ruote, non tanto per la mancanza di cavalli o buoi, che invece gli zaré possedevano in numero maggiore rispetto a certi villaggi dell’ovest, ma principalmente per la mancanza di metallo. I barbari infatti non lo estraevano dalla terra, ma riutilizzavano quello sottratto ai loro nemici, e non padroneggiavano le tecniche di fusione, limitandosi a lavorarlo a freddo per realizzare ornamenti. Erano molto diffusi orecchini ed anelli, e talvolta li portavano in fori praticati in parti del viso che avrebbero suscitato orrore tra la gente dell’ovest, come sulle sopracciglia o alle labbra. Le punte delle loro frecce erano solitamente in metallo poiché recuperate da quelle dei soldati di Sarlaf, ma la loro arma preferita rimaneva un’ascia piccola e maneggevole la cui lama era spesso in pietra. Mulcrist si rammaricò vedendo un uomo lavorare delle pelli con la lama spezzata di una spada occidentale. Ognuno di quei guerrieri cresceva educato alla violenza e al combattimento e l’uomo comune dell’ovest faceva bene ad esserne intimorito, ma poi la mancanza di tecnologia e di tecniche di combattimento evolute rendeva i barbari un nemico poco temibile per un esercito di Artan ben organizzato.
Mulcrist immaginò l’impotenza di un’intera tribù di fronte ad un manipolo di cavalieri bardati di tutto punto e si rese conto di quanto la strada per raggiungere il proprio obiettivo fosse in salita. Col sole ormai dietro le montagne, rientrò alla tenda con la testa piena di pensieri, ma presto questi sparirono alla vista della figura che lo attendeva nella penombra.
“Volevi incontrarmi, Mulcrist? Eccomi” disse l’uomo incappucciato.
“Non posso negare di essere sorpreso di vederti qui” rispose Mulcrist.
“Non è stato facile trovarti” ammise l’eretico, “ma i miei mezzi si sono fatti potenti”.
“Di che mezzi parli?” domandò il portatore della Madre delle spade.
“Di quelli ai quali il Creatore mi concede l’accesso” rispose l’uomo.
“Prego, accomodati” lo invitò Mulcrist, mettendosi a sedere, “anche se non credo che qui sarebbero contenti di vedere che ho ospiti”.
L’uomo sedette su una stuoia di fronte a Mulcrist, tra di loro il focolare spento.
“Ho chiesto di vederti perché se qualcuno mi chiede di servirlo, gradirei che quantomeno lo facesse di persona” proseguì poi il guerriero.
“Pretendi molto dal Creatore. Non credo che verrà di persona ad avanzarti le sue richieste, ma potrei sbagliarmi” osservò l’eretico con sarcasmo, “temo dovrai accontentarti di me come intermediario”.
“Il tuo messaggero mi portava il tuo invito, non quello del Creatore” precisò Mulcrist.
“Il mio invito era quello di servire insieme a me il Creatore, non ti ho mai suggerito di porti al mio servizio e non intendo farlo” ribatté l’uomo.
“Come dovrei chiamarti?” chiese il portatore della spada dopo aver sospirato.
“Il mio nome è Sarius” rispose la guida degli eretici.
“Le tue aspettative erano che mi unissi alla tua causa, giusto?” domandò Mulcrist.
“Le speranze, più che le aspettative” precisò Sarius, “e la mia causa è la causa del Creatore, ma comprendo la tua reticenza ad accettare questo fatto”.
“Il mondo che il tuo messaggero mi ha prospettato non mi pare attraente, per non parlare del fatto che mi dovrei porre al seguito di una persona che non conosco” obiettò il portatore della Madre delle spade.
“Non vedo la necessità di conoscersi quando si serve la medesima causa, specialmente se essa è quella di Dio” rispose l’eretico, “credevo fosse tua opinione che il mondo attuale necessiti di radicali cambiamenti”.
“Con il bagno di sangue che si prospetta, quei cambiamenti dovrebbero essere quantomeno in meglio” obiettò Mulcrist, “e, senza offesa, ma in troppi sostengono di servire una sacra causa per poi commettere atti che con la sacralità non hanno nulla a che vedere. Dichiarare di servire il Creatore non è per me motivo sufficiente per meritarsi la mia fiducia”.
“Come avrai intuito dal mio nome, sono un monaco, e questo di per sé dovrebbe offrirti la garanzia della mia vicinanza al Creatore” spiegò Sarius, “ma, se preferisci, ti racconterò la mia storia cosicché tu possa dire di avermi conosciuto”.
Il guerriero allargò le braccia facendo segno di proseguire con il racconto.
“Come monaco, ho passato tutta la vita a studiare i testi sacri: lo facevo dalla mattina alla sera, ogni giorno dell'anno, sin da bambino” iniziò l’eretico, “ero ancora un ragazzo quando, una notte, venne a trovarmi nel sonno un demone. Ricordo del terrore che provai all'inizio, scioccamente credevo fosse lì per farmi del male. Mi resi presto conto che invece era venuto per fare ciò che fanno i demoni e fui sollevato dal fatto che il suo comportamento rispecchiava quello riportato nei testi che avevo studiato. Cominciò a farmi domande tese a farmi dubitare della mia fede. Gli risposi con arguzia poiché ero ben preparato ed il demone se ne andò. Al mio risveglio credetti di aver superato una grande prova ma rimasi in silenzio perché non volevo apparire superbo. Nella mia ingenuità di ragazzo, non mi aspettavo che il demone mi sarebbe apparso nuovamente in sogno la notte successiva e quella dopo ancora, finché non divenne un'abitudine. Ogni sera andavo a dormire, sprofondavo nel sonno e presto il demone arrivava a farmi visita, ad interrogare le mie conoscenze, sperando che la mia fede cominciasse a vacillare. Così ogni giorno studiavo con più dedizione e fervore, consapevole che dopo il calar del sole avrei dovuto dibattere di teologia contro un nemico instancabile. Poi, una notte, il demone sembrò arrendersi. Mi svegliai il giorno successivo ancora incredulo, tanto che mi fiondai tra i libri come se nulla fosse accaduto, certo che la notte seguente egli sarebbe tornato. E avevo ragione. Ma stavolta tutti gli anni passati dentro al monastero, tutti i miei studi si rivelarono inutili. Il demone si presentò a me e mi disse che avevo sì vinto i dibattiti, ma che lo avevo fatto scorrettamente, poiché i testi su cui avevo studiato erano stati manomessi ed erano inattendibili, pieni di inesattezze ed omissioni. Per la prima volta non seppi cosa rispondere, così gli promisi che avrei riflettuto sulla questione e che avrei trovato una risposta adeguata. Mi rivolsi all'abate e gli raccontai tutto. Gli suggerii che se avessi avuto accesso ai libri di altri monasteri avrei potuto smentire il demone ed egli acconsentì a lasciarmi partire. Viaggiai così in lungo e in largo per il regno e ovunque raccontavo la mia storia, consultavo i libri, e dibattevo con il demone. Sebbene i testi confermassero le mie convinzioni, egli insisteva che essi fossero falsi e che dovevo proseguire le mie ricerche. Ad un certo punto mi resi conto che c'era qualcosa di vero in ciò che il demone diceva. Notai che alcuni autori sembravano aver prestato maggior attenzione alla forma e allo stile di certe loro opere frivole che dei loro trattati teologici. Mi pareva assurdo ma più li leggevo e più mi appariva evidente che quei testi erano stati realmente manomessi. Mi preparai a confessarlo al demone, sperando che mi fornisse la risposta a quell'enigma, ma quando andai a dormire egli non venne a trovarmi. Rimasi così da solo, con i miei dubbi, ed intrapresi un lungo percorso per dissiparli. Impiegai anni, ma giunsi alla verità: la Chiesa aveva operato una revisione di tutti i testi sacri, alterando la nostra conoscenza del Creatore e allontanandoci da lui. Raccolsi frammenti ed indizi, seminati da chissà chi nel corso dei secoli per permettere alla verità di giungere a noi, e ne parlai ai frati dei monasteri che visitavo. Talvolta mi risero in faccia e mi chiamarono pazzo, ma più spesso, davanti all'evidenza, si resero conto che avevo ragione. Con l'aiuto di alcuni di loro creai una rete di monasteri i cui abati sostenevano le mie idee. Naturalmente tenemmo tutto segreto perché la Chiesa non avrebbe mai accettato che il suo tradimento venisse rivelato. Ci addestrammo anche a combattere, perché temevamo che un giorno i vescovi ci avrebbero scoperti. Finché non realizzammo che i nostri numeri erano diventati tali che era la Chiesa a dover temere noi, non il contrario. Per troppo tempo la verità è rimasta segregata tra le mura dei monasteri. È giunto il momento che tutti i fedeli sappiano dell'inganno nel quale sono stati costretti a vivere”.
“Da quando un demone è una fonte affidabile?” domandò Mulcrist.
“Non lo è” rispose fermamente il monaco, “la mia fonte sono i lunghi anni di studio passati proprio a combattere quel demone”.
“Perché un demone, nemico del Creatore, avrebbe dovuto farti notare gli errori della Chiesa ed indicarti la via giusta per avvicinarti al Creatore stesso?” insistette il guerriero.
“Mi sono fatto questa domanda innumerevoli volte e temo di non poter dare una risposta unica ed esaustiva” ammise Sarius, “ma ogni risposta deve necessariamente rientrare in una di due grandi possibilità. La prima è che il demone si aspettava che giungessi a conclusioni differenti da quelle a cui sono approdato, il che significa che comprendere le sue ragioni è ormai tanto improbabile quanto inutile. La seconda è che egli sperava che io arrivassi esattamente dove mi trovo e di poter trarre profitto dalle mie future azioni. In questo caso è necessario mantenere alta la guardia, cosa che, ti assicuro, faccio costantemente. Qualunque fosse il suo obiettivo, le scoperte che ho fatto sono reali, come reale è il tradimento che la Chiesa ha operato nei confronti della dottrina del Creatore”.
“Questo tradimento della Chiesa di cui parli che cosa significa? Che cosa avrebbe cambiato?” domandò Mulcrist.
“Non ci basterebbe una notte per discutere ogni punto” rispose l’eretico, “ma posso cominciare col dirti che l’idea di gerarchia che il Creatore aveva pensato per noi non ha nulla a che vedere con le dinastie nobiliari che oggi amministrano il regno di Artan. La Chiesa ha deliberatamente alterato i testi sacri al fine di andare incontro alle esigenze politiche del regno”.
“Il tuo discepolo mi ha parlato di un nuovo mondo fatto di ordine e disciplina” disse il ragazzo, “cos’altro c’è ad attenderci? Ho visto uccidere un locandiere per aver servito del vino”.
“Le mie scoperte hanno viaggiato veloci e raccolto molti adepti, non ho la possibilità né la volontà di seguire il percorso di ciascuno di loro e non posso essere consapevole né responsabile di ogni loro azione” si giustificò Sarius, “ordine e disciplina sono senz’altro due pilastri tra gli insegnamenti del Creatore che necessitano di essere rinforzati cosicché possano avvicinarsi all’ideale originario. Ve ne sono altri che non saranno intaccati poiché la Chiesa per prima non li ha alterati, e questi tu li dovresti conoscere bene. Non intendo negare che il cambiamento potrebbe essere traumatico e potrebbe non piacerti. Qui si tratta di avvicinarsi ai principi di società che il Creatore aveva pensato per noi, non spetta a te giudicare se essi siano giusti o meno, così come non spetta a me”.
“Io non posso giudicarli ma tu dici di conoscerli” obiettò Mulcrist.
“Li conosco come li può conoscere ogni uomo istruito alla teologia” precisò il monaco, “è per questo che gli uomini come me esistono. Io sono fatto per studiare, tu sei fatto per combattere. È compito del clero rivelare e spiegare la parola di Dio agli altri uomini. È ciò che i sacerdoti fanno ogni giorno durante la messa. Purtroppo lo fanno in maniera sbagliata e questo errore è commesso inconsapevolmente poiché essi stessi fanno parte di un organismo corrotto”.
“Cosa pensi degli uomini dell’Odravast?” indagò il guerriero.
“Uomini sfortunati che non hanno avuto il privilegio di nascere nelle terre di un regno che, almeno per un periodo, ha conosciuto la vera fede. Le genti che vivono al di fuori di Artan vivono nella menzogna, quella dell’esistenza di molteplici divinità, mentre noi sappiamo bene che non vi è alcun dio al di fuori del Creatore” rispose Sarius, “una volta che avremo ristabilito la verità nella dottrina della Chiesa, potremo pensare di diffondere gli insegnamenti del Creatore oltre i confini del regno”.
“E come intenderesti diffonderli?” incalzò Mulcrist.
“Come fa un sacerdote quando incontra un’anima persa che i travagli della vita hanno allontanato dalla fede. È un processo lungo che si risolverà forse dopo la fine della nostra esistenza, per adesso dobbiamo preoccuparci di ristabilire la verità, correggendo i testi per riportarli alla loro forma originale, ed insegnare i principi riscoperti ai nostri fedeli durante la messa” spiegò il monaco.
“La tua è una missione certamente gravosa e ricca di ostacoli, ti auguro buona fortuna nel portarla a compimento” disse Mulcrist dopo aver annuito senza alcuna convinzione.
“Hai l’occasione di far parte di questo grande movimento votato alla verità e ad un cambiamento radicale nella società del regno” ribatté Sarius, “ma puoi scegliere di restare in disparte e non agire come ci si aspetterebbe da te. La tua è una scelta che io rispetto, ma in seguito alla quale non posso che metterti in guardia: non cercare di ostacolarci o sarai condannato all’oblio”.
“Una minaccia velata resta una minaccia” commentò sorridendo amaramente Mulcrist, “mi fa piacere che tu nutra la convinzione di poter alterare il mio destino e non intendo cambiartela. Forse sono troppo ignorante rispetto agli altri che hai convertito alla tua causa ma, se devo essere onesto, non mi sei parso molto diverso da tutti gli altri sicuri di sé che hanno cercato di portarmi sulla loro strada. Dici di sapere come stanno le cose e come coloro che detengono il potere rivendichi il diritto di guidarmi. Mi spiace ma di fronte alla possibilità di seguire chi mi dice cosa fare e quella di agire per ciò che sento, non posso che scegliere la seconda”.
“A differenza di coloro che detengono il potere politico e che si arrogano per nascita il diritto di comandarti, io non sono venuto qui per importi nulla. Sono venuto ad offrirti la mia conoscenza e a spiegarti delle scoperte che ho fatto in anni di ricerca. Non sono venuto per impartirti lezioni di tattiche di guerra, per quelle mi aspetterei che fossi tu a dare insegnamenti a me” si difese Sarius.
“Condurre le tue armate significherebbe comunque obbedire a te” disse Mulcrist, “come un buon generale farebbe con un re”.
“Se non fosse che non ambisco ad alcuna posizione che non sia quella di me al servizio del Creatore” obiettò l’eretico.
“Immagino lo scopriremo” concluse il portatore della spada, “al prossimo incontro, Sarius. Immagino che questo non sarà l’ultimo”.
“Solo il Creatore lo sa” rispose Sarius, svanendo poi nel nulla.
Mulcrist rimase in silenzio, fortemente preoccupato, ad attendere il ritorno della sua compagna.
“Tutto bene?” domandò Amhanfuar rientrando a notte fonda.
“Più o meno” rispose lui, “vuoi provare ad indovinare chi mi ha fatto visita?”.
“Ha a che fare con Donovan o Noristacs?” chiese la sciamana guardandosi intorno.
“No” disse Mulcrist.
“Allora suppongo si tratti di qualcuno di cui ignoro il nome” concluse Amhanfuar.
“È la guida degli eretici, il suo nome è Sarius” spiegò il guerriero.
“Che cosa voleva?” domandò la ragazza.
“Che mi unissi alla sua causa” rispose Mulcrist, “ma naturalmente gli ho detto di no”.
“C’è altro che dovrei sapere?” indagò lei.
“Come forse avrai già intuito, non è un uomo qualunque” disse il guerriero sospirando, “ha dei poteri dei quali non ho potuto comprendere l’origine. È svanito nel nulla”.
“Forse Karembresh o altri kithlas potrebbero aiutarci a saperne di più” rifletté Amhanfuar.
“Ogni aiuto sarebbe il benvenuto” convenne Mulcrist, “la minaccia che mi ha rivolto per evitare che io lo ostacoli era evidente”.
“Ma le tue preoccupazioni adesso dovrebbero essere altre” obiettò la sciamana, “questo Sarius è un problema del regno di Artan”.
“Sì, hai ragione. Preferisco semplicemente tenere alta l’attenzione su tutti i fronti, se possibile” disse Mulcrist.
“Ora dormi, ti attende una lunga giornata di cammino domani” concluse la ragazza baciandolo.


2 fienaio 1079

Avevano atteso tutta la notte nascosti, alternandosi nei turni di guardia, affinché il momento di maggiore attività nella giornata degli orchi passasse. Il sole stava oramai per sorgere e le mostruose creature si stavano ritirando per riposare. Mulcrist aveva notato che l’accampamento degli orchi, per quanto piccolo, era fortificato con una palizzata che lasciava soltanto due vie d’accesso. Non che questo lo avesse stupito, poiché si era già imbattuto ed intrufolato in un accampamento di orchi quando aveva ucciso Gobruf, ma lo aveva comunque fatto riflettere il fatto che quelle creature utilizzassero tecniche di difesa più avanzate dei suoi nuovi compagni di viaggio. Persino l’ubicazione scelta dagli orchi era strategicamente interessante, perché nell’accampamento si potevano scorgere due piccoli ammassi rocciosi che spiccavano dal terreno, offrendo una posizione di vantaggio per eventuali tiratori.
Il gruppo che aveva seguito Kemsur era composto da una ventina di guerrieri e fremeva per lanciare l’attacco. Onemwar benedì ciascuno di loro e fece lo stesso con Mulcrist. I barbari si divisero quindi in due gruppi per attaccare gli orchi da entrambi i lati dell’accampamento ed evitare che anche uno solo dei mostri riuscisse a fuggire. Quando furono tutti pronti, la kithlas accelerò il sorgere del sole convocando una luce magica che sorvolò l’accampamento nemico illuminandolo a giorno. Alla vista di quella luce, i guerrieri di Kemsur si lanciarono in battaglia gridando, mentre gli orchi si destavano confusi ed impugnavano le proprie armi.
Mulcrist, ingombrato dalla propria armatura, raggiunse l’ingresso sud dell’accampamento per ultimo, mentre il cozzare delle armi cominciava a sovrastare le grida dei combattenti. Si guardò intorno per farsi una rapida idea delle forze in campo e vide che gli orchi stavano accorrendo fuori dalle loro capanne per difendersi, mentre alcuni barbari si stavano già lanciando all’interno di altre. Non vi era alcuna logica né ordine in ciò che stava accadendo. Mulcrist sapeva che le battaglie potevano trasformarsi in calche caotiche, ma nell’ovest si tentava normalmente di preservare gli schieramenti il più a lungo possibile prima che inevitabilmente si rompessero. Nell’Odravast, invece, non c’erano stendardi né disciplina ed ogni uomo cercava la gloria per sé. Kemsur aveva probabilmente ignorato i nemici più vicini all’ingresso ed aveva già raggiunto il centro dell’accampamento, dove ora si batteva come un toro. Lo stesso stile di combattimento dei barbari era intrinsecamente votato al caos: non vestendo armature e maneggiando per lo più piccole armi, questi raramente tentavano di parare i colpi degli avversari, ma più spesso saltellavano loro intorno per schivarne gli attacchi. Ad una più attenta osservazione certo sarebbero parse evidenti le ragioni che avevano condotto allo sviluppo di quello strano modo di combattere: tentare di parare i colpi degli orchi era poco produttivo, poiché la loro massa muscolare era di molto superiore a quella degli uomini e le loro armi più robuste, mentre la stazza li rendeva indiscutibilmente più lenti, incentivando i barbari a balzare agilmente loro intorno alla ricerca di un’apertura nelle loro difese.
Come Mulcrist aveva previsto, alcuni orchi stavano prendendo posizione in cima alle rocce e si preparavano a colpire gli assalitori dall’alto, così si lanciò verso di loro, elettrizzato dai segnali che la spada intanto gli inviava. Mentre correva, vide un barbaro emergere da una capanna stringendo due piccoli di orco tra le mani. In preda ad una sanguinaria frenesia, l’uomo ridendo spaccò le teste dei due piccoli mostri urlanti schiantandole l’una contro l’altra. Mulcrist saltò sulle rocce e cominciò a salire, mentre i tiratori nemici avevano cominciato a scagliare frecce sui barbari, che sembravano non curarsene. Giunto sulla sommità, il portatore della Madre delle spade tentò di affondare la propria arma in un nemico prima che questo riuscisse ad accorgersi della sua presenza. Complice la fretta con cui si mosse, il colpo non andò a segno e l’orco balzò indietro sorpreso, richiamando l’attenzione dei compagni intorno. La spada vibrò di energia, infondendo coraggio e determinazione nel suo portatore. Mentre il primo orco mollava l’arco per estrarre il proprio coltellaccio, Mulcrist gli trapassò lo stomaco ed ebbe la strana sensazione che la lama accesa di una luce azzurra stesse affondando nel burro. L’orco gridò di dolore ed i suoi compagni lo guardarono inorriditi mentre la Madre delle spade ne consumava la carne come il fuoco fa con la pergamena.
Tutto intorno, più in basso, la battaglia infuriava ed i barbari stavano avendo la meglio. Uno di loro strappò il cuore ad un orco e gli diede un morso in segno di spregio; quando vide che sulle rocce Mulcrist affrontava da solo tre nemici, si lanciò per raggiungerlo. Il guerriero dell’ovest intanto stava affondando la lama in un altro mostro, ma un secondo colse l’attimo e ferì Mulcrist ad un braccio. La spada emanò un intenso baleno azzurro e continuò a brillare mentre il suo portatore menava fendenti contro gli avversari. Con l’aiuto del barbaro sopraggiunto, anche l’ultimo orco sulle rocce cadde. Con tutti i guerrieri orchi caduti, ora veniva il turno delle femmine, che uscivano dalle capanne per difendere i propri piccoli, quando non erano gli stessi barbari a trascinarle fuori. Mulcrist ne vide una venire scaraventata in mezzo all’accampamento e la sentì strillare mentre, ancora viva, i guerrieri di Kemsur le strappavano le zanne come cimeli di guerra.
Poco dopo i barbari esultarono all’uccisione dell’ultimo piccolo di orco rimasto ed Onemwar fece il suo ingresso nell’accampamento per curare i feriti. Si occupò di Mulcrist per primo, poiché gli altri preferivano anteporre il saccheggio al trattamento delle proprie ferite. I barbari si impadronirono di tutto ciò che erano in grado di trasportare: armi, pelli, cibo e persino oggetti del regno di Artan che gli orchi avevano trovato chissà dove.
“Hai combattuto bene” disse Onemwar, dopo che Mulcrist ebbe rinfoderato l’arma e fu sceso dall’altura.
“Avrei potuto fare di più” rispose il guerriero, ripensando ad i colpi che non erano andati a segno.
“Ciò non toglie che ti sei fatto valere” ribatté la kithlas, “gli orchi sono nemici temibili”.
Uno dei barbari passò davanti a loro con la sacca piena di bottino e disse qualcosa in keish. Onemwar scosse la testa.
“Dice che se sei un guerriero protetto dagli dèi non dovresti aver bisogno della tua armatura” tradusse la sciamana.
Mulcrist sospirò.
Report Date
20 Oct 2020