Il lupo
General Summary
3 fienaio 1079
“Com’è andata?” domandò Amhanfuar vedendo il compagno di ritorno, mentre i guerrieri intorno venivano acclamati per il successo della loro spedizione.
“Non male, ma sarebbe potuta andare meglio” rispose Mulcrist mostrando la fasciatura della ferita subita, “uno dei guerrieri mi ha rivolto delle parole poco gentili”.
“Non ti abbattere, è normale che sia così. Sono certa che tu ti sia fatto valere e che almeno qualcuno dei guerrieri avrà avuto una buona impressione di te, anche se non l’ha esternata” disse con un sorriso la kithlas.
“Non sono abbattuto. La forza con cui si sono manifestati i poteri della spada è sufficiente per darmi fiducia” spiegò il guerriero.
“Questa è un’ottima notizia” commentò Amhanfuar, “che cosa pensi dei guerrieri della tribù? Era la prima volta che li vedevi combattere”.
“Uno stile di combattimento sicuramente particolare” rispose Mulcrist col sorriso, “dimostra l’abilità di molti di questi uomini. La mancanza di organizzazione è però un grave punto debole e trovo il loro entusiasmo per il sangue spropositato”.
“Questo fa un po’ impressione sentirlo dire da un mercenario” scherzò la ragazza.
“Sembra passato tantissimo tempo, ma posso dire che neppure da mercenario provavo molto gusto nell’uccidere” disse il portatore della Madre delle spade.
Un vociare all’esterno della tenda richiamò l’attenzione della kithlas. Molti membri della tribù si stavano dirigendo verso la piazza del tapawè, così Amhanfuar fece cenno al compagno di seguirla ed unirsi al flusso. Una volta giunti al centro dell’accampamento, Mulcrist vide che Kemsur stava seduto insieme ad alcuni anziani, mentre molti altri uomini, donne e bambini si stavano radunando lì intorno per ascoltare ciò che un paio di guerrieri al centro della piazza avevano da dire. Il capotribù sembrava attendere impazientemente che i due guerrieri parlassero, ma questi sembravano a loro volta aspettare che quante più persone possibili si fossero radunate per ascoltarli.
“C’è un solo motivo per cui un guerriero si presenterebbe di fronte al toròs in circostanze simili” disse Amhanfuar, “per sfidarlo”.
Proprio in quel momento, uno dei due guerrieri al centro della piazza cominciò a parlare. Le sue parole erano chiaramente rivolte al capotribù, ma le pronunciava ad alta voce affinché tutti potessero udirle chiaramente.
“Sta accusando Kemsur di aver preferito te a loro per combattere gli orchi. Dice che è meglio morire che combattere per un toròs che non ha stima di lui” spiegò Amhanfuar.
Poi il guerriero estrasse la propria ascia ed il toròs si alzò in piedi sbuffando. Kemsur impugnò a sua volta l’arma e si avvicinò allo sfidante. Nella piazza regnava il silenzio. Dopo alcuni secondi di studio reciproco, i due contendenti iniziarono la loro danza. Lo sfidante si lanciò in avanti e Kemsur scartò di lato evitando di tentare di colpire l’avversario per non esporsi.
“Dovrei fare qualcosa?” domandò Mulcrist.
“Non c’è niente che tu possa fare” rispose Amhanfuar, “Kemsur ha preso una decisione ed era ben consapevole di quanto fosse controversa, ora deve affrontarne le conseguenze. Puoi soltanto sperare che vinca, perché se così non fosse dovrai allontanarti dalla tribù. Allo stato attuale non godi di alcuna protezione ed il nuovo toròs certamente chiederebbe ai suoi uomini di attaccarti”.
Kemsur nel frattempo aveva scansato nuovamente l’attacco del suo avversario. Ad un terzo tentativo, il capotribù cercò di rispondere con un fendente laterale ma non riuscì a trovare il bersaglio. Lo sfidante modificò quindi il proprio approccio e calò un colpo dall’alto. Stavolta il toròs usò la propria mano sinistra per afferrare il polso dell’avversario ed interromperne l’attacco. Tentò quindi a sua volta di colpire il rivale, ma questi riuscì a bloccarlo in maniera analoga ed i due si ritrovarono in una situazione di stallo. Mulcrist, dall’alto della sua esperienza, si rese immediatamente conto che per lo sfidante c’erano poche possibilità. Kemsur non era il più veloce o abile guerriero che il ragazzo avesse mai visto, ma di certo era uno dei più forti. Il toròs liberò il proprio braccio dalla presa dell’avversario sollevandolo sopra la testa, poi calò un nuovo colpo su quello del rivale che teneva ancora intrappolato per il polso. Il guerriero riuscì solo in parte a frenare l’attacco e l’ascia gli si conficcò nel braccio, facendolo gemere di dolore. Riuscì però poi a sottrarsi alla presa calciando Kemsur nello stomaco e a recuperare con la mano sinistra l’arma che gli era caduta. Stringendo i denti, lo sfidante si lanciò nuovamente all’attacco, ma il toròs riprese a muoversi seguendo lo schema iniziale e limitandosi semplicemente a scansare gli attacchi. Dal braccio del guerriero intanto continuava a sgorgare sangue ed egli capì di non avere più molto tempo a disposizione. In un ultimo disperato tentativo, rotolò in avanti e menò un fendente dal basso che prese Kemsur alla coscia. Il toròs non si lasciò sfuggire l’occasione e con una rapida torsione seguì la capriola dello sfidante e calò l’ascia nel punto in cui aveva rapidamente calcolato che sarebbe terminato il movimento. Il colpo raggiunse il guerriero in pieno petto e pose fine allo scontro. Amhanfuar tirò un sospiro di sollievo, mentre Kemsur recuperava il fiato.
L’altro guerriero, rimasto fino a quel punto in disparte, rivolse una domanda al toròs e questi gli rispose dopo essersi controllato la ferita alla gamba. Mulcrist capì che non era ancora finita. Kemsur assunse un atteggiamento di sfida ed invitò l’altro a farsi sotto. Questi quindi estrasse l’ascia e si fece avanti, dando inizio ad un lungo momento di studio reciproco. I due guerrieri si osservavano, girando l’uno intorno all’altro, e finirono per raggiungere il limitare della piazza. A quel punto il pubblico, rimasto fino ad allora silenzioso, mormorò, spingendo lo sfidante ad attaccare. Kemsur indietreggiò facendo andare diversi attacchi dell’avversario a vuoto e poi passò al contrattacco, ma l’avversario si ritrasse con pari abilità. Il toròs provocò quindi l’avversario per farlo venire in avanti e, all’ultimo, gli si lanciò contro. In un attimo i due si ritrovarono bloccati come nel precedente combattimento, con la mano che reggeva l’arma bloccata da quella libera dell’avversario. Lo sfidante non aveva la massa muscolare di Kemsur e col passare dei secondi capì di stare per essere sopraffatto. Rinunciò quindi alla presa dalla sua parte e tentò di allontanarsi, ma il toròs lo trattenne per lunghi istanti prima di lasciarlo improvvisamente andare, facendolo così cadere a terra. Con la velocità e la precisione di chi con quell’arma si allenava dalla più tenera età, Kemsur sferrò un colpo d’ascia che trovò il cranio dell’avversario senza lasciargli scampo.
Il capotribù grugnì guardandosi intorno alla ricerca di eventuali nuovi sfidanti, ma nella piazza del tapawè regnava il silenzio. Amhanfuar e Mulcrist si guardarono sollevati. Mentre quattro uomini accorrevano a recuperare i corpi dei morti, molti altri membri della tribù abbandonavano la piazza per tornare alle proprie attività come se nulla fosse accaduto. Amhanfuar si fece avanti e disse qualcosa a Kemsur. Il capotribù grugnì di nuovo guardandosi la ferita e poi seguì la sciamana allontanandosi dalla piazza. Mulcrist si accodò a loro ed entrò nella tenda della kithlas per ultimo. Kemsur brontolava nella sua lingua ed Amhanfuar lo ascoltò pazientemente mentre gli osservava la ferita e si preparava a pulirla.
“Dice che non gli piaci” tradusse la ragazza rivolgendo un rapido sguardo ed un sorriso divertito a Mulcrist, “dice che non gli piacciono gli uomini dell’ovest. Non gli piace il vostro modo di combattere, dice che è da codardi”.
“È per via dell’armatura?” domandò il ragazzo.
Amhanfuar annuì e cominciò a trattare la ferita del toròs, che continuava a lamentarsi fingendosi scocciato per quanto appena accaduto.
“Vuole che tu lo aiuti” proseguì Amhanfuar, “vuole che gli spieghi come distruggere un avamposto di Sarlaf. Dice che potrebbe cambiare idea su di te se lo fai”.
“Ma è disposto a cambiare le sue tattiche?” domandò Mulcrist dopo un momento di perplessità.
“Certo che no” rispose la kithlas mentre fasciava la coscia al toròs, “non indosserà un’armatura e non rinuncerà alla propria ascia. Ma ti ascolterà quando avrai un piano da proporgli ed è già qualcosa”.
La sciamana fece segno a Kemsur che con lui aveva finito ed il barbaro si alzò in piedi borbottando parole di ringraziamento, prima di lasciare la tenda.
“È andata bene” commentò Amhanfuar, “la sua posizione rimane solida, non sono in molti a poter pensare di sfidarlo”.
“Ti è sembrato onesto in ciò che diceva?” domandò Mulcrist.
“Sei troppo abituato alla gente dell’ovest, a gentaglia come Taron” rispose sorridendo la compagna, “qui i guerrieri parlano e dicono ciò che pensano”.
“Che non è sempre un bene” osservò il ragazzo.
“Come hai potuto constatare oggi, due uomini si sono fatti uccidere per dare peso alle proprie parole” disse Amhanfuar.
“Proverò a pensare a un piano” concluse Mulcrist grattandosi la testa.
4 fienaio 1079
La tenda del toròs era un tripudio di trofei di guerra. In un angolo erano raccolti teschi di uomini e di orchi e dai pali paralleli al terreno che sostenevano la struttura pendevano zanne ed armi strappate ai nemici. Mulcrist sedeva a terra su una stuoia di fronte a Kemsur. Alla sua destra e alla sua sinistra stavano sedute le due kithlas.
“Ci sono due possibilità per attaccare con successo un avamposto” cominciò a spiegare il portatore della Madre delle spade, “se c’è tempo a sufficienza, quella che gli uomini dell’ovest preferiscono è l’assedio: si tratta di circondare il nemico e di impedire che esca dalle mura o che riceva rifornimenti dall’esterno finché non si arrende. Questo può succedere anche con una certa facilità se si raggiunge un accordo, lasciando allontanare il nemico impadronendosi della sua posizione, delle sue armi e delle sue scorte in cambio della vita”.
Mulcrist attese che Amhanfuar avesse tradotto ed osservò la reazione del toròs. Il barbaro gli parve confuso.
“L’alternativa è attaccare l’avamposto ma, se questo è difeso da palizzate e torri di guardia, la sfida può rivelarsi molto ardua. C’è bisogno di molti uomini e di coordinazione, attaccando le mura con delle scale e, se possibile, la porta con un ariete” proseguì Mulcrist, “sai di cosa parlo, vero?”.
“Sì, come un tronco d’albero per buttare giù la porta” rispose la sciamana, prima di tradurre per Kemsur.
“L’assalto permette di risparmiare tempo ma di solito causa molti morti per gli attaccanti” spiegò il guerriero dell’ovest.
La kithlas ed il toròs si scambiarono diverse battute in lingua keish, poi Amhanfuar si rivolse nuovamente a Mulcrist.
“Quanto bisogna attendere in un assedio?” domandò.
“Dipende dalle scorte e dal numero di uomini all’interno dell’avamposto” rispose il ragazzo, “diverse settimane probabilmente”.
Kemsur assunse un’espressione incredula all’udire la traduzione di quelle parole. Per le domande che seguirono la sciamana non ebbe bisogno di fare alcuna traduzione poiché conosceva bene le risposte.
“Mi ha chiesto come fanno gli uomini dell’ovest ad avere così tanto cibo” riferì dopo aver spiegato rapidamente al toròs il funzionamento dell’agricoltura nel regno di Artan.
Mulcrist inarcò le sopracciglia. Più passavano i giorni e più si rendeva conto che la lingua era forse il minore degli ostacoli che si frapponevano tra lui ed il popolo zaré.
“L’idea dell’assedio non gli piace. Vuole attaccare” spiegò Amhanfuar.
“Servono molti uomini” ribadì Mulcrist.
“Invierà degli esploratori in tutta l’area intorno a noi” disse infine Onemwar traducendo le parole del toròs, “dopo che avrà individuato l’obiettivo, consulteremo gli dèi per sapere se Kemsur potrà condurre un attacco”.
“Vorrei poter vedere l’avamposto di persona, potrebbe essere utile per elaborare un piano di attacco più preciso” spiegò il guerriero dell’ovest.
“Forse, più avanti” tradusse la sciamana della tribù del gufo, “se lo desideri, potrai intanto unirti ad un gruppo di esploratori diretti ad est, non ad ovest”.
“Perché ad est?” domandò Mulcrist, “ci sono accampamenti del regno di Artan più ad est?”.
“No. Vuole che tu capisca come ci si muove in queste terre e, anche se è importante conoscere dove si vuole andare, è altrettanto importante conoscere cosa ci lasciamo dietro” rispose Onemwar.
“L’Odravast si muove” spiegò Amhanfuar, “qui non esistono città: dove ieri c’erano colline libere, oggi potrebbero stare gli orchi e domani una tribù ostile”.
“Dovrei unirmi ad un gruppo di esploratori senza nessuno che traduca per me?” domandò perplesso il ragazzo.
“Per esplorare hai bisogno degli occhi, non di parlare” gli fece notare Onemwar.
Mulcrist si girò a guardare Amhanfuar per avere la sua opinione.
“Hai imparato le parole più importanti almeno per la guerra, sarà un buon esercizio per te” disse la compagna, “Kemsur si sta rivelando inaspettatamente molto amichevole nei tuoi confronti, sarebbe un peccato non cogliere le occasioni che ti offre”.
“D’accordo allora” concluse il ragazzo.
“Partirete domani” comunicò Onemwar.
5 fienaio 1079
Mulcrist aveva salutato calorosamente Amhanfuar e poi era montato in sella al suo cavallo che Drenton gli aveva preparato. Per tutto il giorno il portatore della Madre delle spade aveva viaggiato insieme a tre esploratori di Kemsur verso sud-est. Il territorio era popolato da dolci colline coperte d’erba che presto avrebbe cominciato ad ingiallire sotto il sole dell’estate in arrivo. Qua e là si alternavano piccoli boschetti ed alberi solitari ma la mancanza di montagne rendeva il paesaggio monotono e privo di significativi punti di riferimento. Mulcrist dovette affidarsi soltanto al movimento del sole per intuire la direzione in cui si stavano muovendo.
Sotto sera, i quattro si accamparono e due dei guerrieri si presero la briga di procurare la cena per tutti, mentre il terzo accendeva il fuoco con l’aiuto di Mulcrist. Poco più tardi stavano cuocendo carne d’uccello con degli spiedi.
“Morka” disse uno dei guerrieri porgendone uno all’uomo dell’ovest.
“Cibo?” intuì Mulcrist.
“Cibo” ripeté l’uomo annuendo con una pronuncia stentata, “buono”.
“Buono” confermò con un sorriso lo straniero.
“Waldàr” tradusse nella propria lingua il barbaro.
“Waldàr” ripeté Mulcrist, “dawès”.
I guerrieri gli fecero segno che fosse il benvenuto e si sentì rassicurato.
7 fienaio 1079
Il terreno si era fatto più pianeggiante da diverso tempo ed i punti di riferimento erano ormai del tutto inesistenti. Mulcrist continuava a cavalcare dietro gli esploratori barbari senza avere più una chiara idea di dove si trovassero. L’orizzonte appariva come una linea piatta interrotta soltanto dagli alberi e anche questi si erano fatti sempre più radi.
Ad un tratto, uno degli uomini indicò un punto in lontananza e gli altri aguzzarono la vista. Mulcrist non riuscì a distinguere nulla ma capì dal tono della voce del barbaro che doveva trattarsi di qualcosa d’interessante. Presero quindi a cavalcare in direzione del punto indicato e, man mano che si avvicinavano, il portatore della Madre delle spade riuscì a mettere a fuoco l’estendersi di un accampamento. Quando furono in grado di scorgere il fumo dei fuochi che si levavano, i barbari individuarono un piccolo gruppo di alberi tra i quali nascondere i cavalli e lasciarono lì gli animali.
Mulcrist seguì gli esploratori che si muovevano bassi e rapidi tra l’erba alta, mentre il sole alle loro spalle proiettava ormai lunghe ombre.
“Kerkias?” domandò in un momento di sosta.
“Deim” confermò il guerriero che stava davanti a lui, “siskus”.
Mulcrist lo guardò perplesso ed il barbaro imitò a bassa voce l’ululato di un lupo.
“Siskus” ripeté annuendo il portatore della Madre delle spade.
Si muovevano in fila facendo attenzione a calpestare la stessa erba per cercare di nascondere il proprio numero. Ad un tratto il capofila si arrestò, indicò con un gesto ampio l’accampamento e disse qualcosa, poi fece segno di tendere l’orecchio. Mulcrist udì grida in lontananza e si rese conto che c’era del movimento nell’accampamento. I barbari si scambiarono rapidamente qualche parola e Mulcrist capì che doveva star succedendo qualcosa.
Iniziarono a muoversi verso nord, mantenendosi ad una certa distanza dall’accampamento e progressivamente abbandonarono la cautela dei movimenti per spostarsi più velocemente. Mentre aggiravano l’accampamento, appariva sempre più evidente che nessuno ne stesse sorvegliando i confini, il che sembrò molto strano a Mulcrist. Poi, dopo che ebbero raggiunto l’estremità più a nord ed ebbero ripreso a muoversi verso est, al rumore di grida si aggiunse quello di battaglia. Gli esploratori trovarono un gruppo di arbusti tra i quali nascondersi e da dove si riusciva a vedere lo scontro che stava iniziando: al calar del sole, una massa di orchi stava lanciando un imponente attacco contro i barbari, che stavano accorrendo da ogni parte del loro accampamento per difendersi. Mulcrist non aveva mai visto così tanti orchi insieme, dovevano essere oltre un centinaio. I suoi compagni se ne stavano acquattati e commentavano lo scontro.
“Non dovremmo dar loro una mano?” domandò istintivamente l’uomo dell’ovest mentre cercava di tradurre in lingua keish il proprio pensiero, “ta krekassaré ugrash?”.
“Siskus kerkias krekassaré ugrash” gli rispose uno degli esploratori.
“Siskus kerkias weol?” chiese Mulcrist ricordando la parola per dire amico.
“Ne” dissero scuotendo la testa i barbari.
Era chiaro che sarebbero rimasti lì a guardare, ma Mulcrist non si era recato nell’Odravast per prendere le parti dell’una o dell’altra tribù. Si alzò in piedi e balzò fuori dai cespugli, poi prese a correre in direzione della battaglia mentre gli esploratori lo guardavano sorpresi. Convocò la spada tra le sue mani ed intercettò un orco che correva in direzione dell’accampamento falciandolo. La Madre delle spade si tinse di blu mentre trapassava con facilità la carne del nemico. Un altro orco che stava sopraggiungendo lo raggiunse e, dopo averne schivato l’attacco, Mulcrist lo trafisse. Il guerriero dell’ovest si fece largo tra i nemici e raggiunse un barbaro che ne stava fronteggiando tre. Ne trafisse uno dal fianco prima che questo si potesse accorgere della sua presenza, poi saltò in avanti e si affiancò al barbaro, che era troppo impegnato ad evitare i colpi degli avversari per capire chi gli si fosse avvicinato. Un altro orco sopraggiunse immediatamente e Mulcrist si assicurò di avere la sua attenzione per alleggerire la pressione sul barbaro di fianco a lui. Parò e rispose all’attacco della creatura, ma le altre due lì vicine concentrarono i propri sforzi sul guerriero della tribù del lupo, che cominciava a dare segni di stanchezza. Il barbaro schivò un primo attacco sbilanciandosi all’indietro ed un secondo calò dritto su di lui. Mulcrist sentì la spada infondergli energia e determinazione per difendere la tribù e all’improvviso l’arma si tinse d’arancione, mentre una sua copia fatta di luce e fiamme si frapponeva tra il barbaro e l’orco per fermare l’attacco di quest’ultimo, prima di svanire in un lampo. Tutti quelli che erano vicini osservarono la scena esterrefatti, ma Mulcrist fu il primo a riaversi e ad approfittare della sorpresa dell’orco che aveva sferrato l’attacco per coglierlo impreparato ed ucciderlo. Il guerriero della tribù del lupo si rotolò per terra e si rialzò in piedi guardando con incredulità quello strano combattente vestito di nero che impugnava una spada luminosa. Un orco gli si avventò addosso ma una nuova lama di luce ne parò l’attacco.
Entusiasmato, Mulcrist continuò a menare fendenti e, ovunque si spostasse, intorno a sé lame fiammeggianti apparivano e svanivano a protezione dei barbari. Era ormai il crepuscolo e ad un tratto il portatore della spada scorse una grossa ombra muoversi rapidamente sul campo di battaglia e avanzare nella sua direzione. Vide la bestia scagliare in aria un orco e addentarne un altro con le sue fauci spaventose. L’enorme lupo aveva attraversato tutta la linea di combattimento ed ora stava raggiungendone l’estremo nord. Al suo passaggio, gli orchi avevano cominciato a darsi alla fuga, inseguiti dai barbari infervorati. Quando giunse di fronte a Mulcrist, gli uomini e le donne della tribù del lupo si fecero da parte. Dopo aver annusato l’uomo che si trovava di fronte, il kithlas tornò in forma umana. Era un uomo sulla quarantina, con capelli e barba di un castano scuro raccolti in trecce che scendevano sul petto interamente tatuato. Sulla testa portava una testa di lupo come copricapo ed aveva braccia muscolose ed un fisico scolpito.
“Gotàs sen tewanwaré” disse un po’ titubante il portatore della spada.
“Gotàs sen tewanwaré” rispose lo sciamano.
“Parlo la lingua dell’ovest” chiarì subito Mulcrist.
“Mio nome è Korral, kithlas di siskus kerkias. Chi è?” domandò il barbaro con un accento stentato.
“Il mio nome è Mulcrist, sono un amico del popolo zaré” rispose il ragazzo.
“Uomo di ovest cosa fa qui?” chiese il kithlas.
“Mi trovo nell’Odravast per aiutare il vostro popolo” spiegò Mulcrist.
“Gotàs manda tu?” domandò Korral con un’espressione incuriosita.
“Forse. Nell’ovest dicono che la mia spada ha origini divine” affermò il portatore della Madre delle spade, “ma io non ho la pretesa di conoscere la risposta a questa domanda”.
Una donna coperta di sangue giunse di corsa per riferire qualcosa, poi i guerrieri parlarono brevemente con il loro kithlas.
“Grazie di aiuta” disse lo sciamano tornando a rivolgersi allo straniero.
“Prego” rispose Mulcrist.
“Dà cibo di grazie ma non di festa perché oggi perde tanto uomo. Toròs è morto” spiegò Korral.
“Dawès” ringraziò il ragazzo.
Le conoscenze e l’abilità del kithlas erano richieste sul campo di battaglia, dove giacevano numerosissimi morti ma anche tanti feriti, così la conversazione s’interruppe e Mulcrist cercò di darsi da fare in ogni modo per aiutare la tribù. Mentre lo faceva, pensò ai tre esploratori che aveva lasciato nascosti tra gli arbusti all’inizio della battaglia e immaginò che se ne fossero andati. Più tardi, all’interno dell’accampamento, ebbe occasione di parlare nuovamente con il kithlas, che gli spiegò come non fosse possibile per la tribù del lupo accoglierlo al momento, poiché erano troppe le cose su cui il tapawè avrebbe dovuto discutere nei giorni seguenti.
“Dove viene? Nord? Foresta?” domandò Korral.
“No” rispose il ragazzo, “vengo da ovest. Kerkias del gufo”.
“È miklòs?” chiese il kithlas per sapere se fosse un ospite della tribù.
“No. Mangio e dormo tra loro ma non mi danno protezione” spiegò Mulcrist.
“Come sa di ugrash?” incalzò lo sciamano mentre controllava le ferite di una donna che gli era appena stata portata.
“Non lo sapevo. Ho visto la battaglia e ho deciso di combattere. Sono amico di tutto il popolo zaré” rispose il portatore della Madre delle spade.
“È uomo molto strano” commentò Korral perplesso, “forse è segno di tempo cambia, eh?”.
“Spero che cambi in bene per tutti voi” rispose Mulcrist.
“Crede che altro uomo di kerkias di gufo è fuori di nostro accampamento, eh?” chiese il kithlas.
“Ti lascio immaginare” disse Mulcrist, “da quanto ho capito non siete amici”.
“Gufo non ha motivo di è amico di lupo” spiegò Korral, “lupo è piccolo, gufo è grande”.
“Per me non fa differenza. Non ho motivo di non considerarvi amici” ribatté il guerriero.
“Siskus kerkias sa poco di uomo di ovest, ma sa bene pericolo, eh? Non pensa che uomo di ovest è amico” disse il kithlas.
“Sono uno di loro, è vero” ammise Mulcrist, “ma non sono come loro. L’hai visto”.
“Vede e sente, sì” confermò Korral annuendo, “crede che tutto cambia: uomo, tempo, vuole di gotàs”.
“Spero che sia così” ribadì il ragazzo.
Un uomo li raggiunse con una ciotola con del cibo e la offrì a Mulcrist, che lo ringraziò in keish.
“Lupo combatte di branco, branco dà mangia di lupo” disse sorridendo il kithlas, invitandolo a mangiare.
Il guerriero dell’ovest ringraziò nuovamente e consumò il pasto in silenzio. Lo sciamano gli concesse di dormire all’interno della propria tenda ma si raccomandò di partire appena possibile la mattina seguente.
10 fienaio 1079
Il ciambellano corse per la via principale in direzione della porta d’ingresso della città, scortato da qualche paggio e da un paio di guardie. Gli era stato annunciato l’arrivo imminente di nobili alla testa di un piccolo esercito.
“Benvenuti a Delmar, miei signori” esordì con un inchino, “sono Farsold Niumbir, ciambellano di Lord Varo. Vi prego di seguirmi”.
Ser Trestan si guardò intorno e cercò di riportare alla mente i ricordi dell’unica volta che era passato di lì. Non riuscì a ricordare alcunché di Delmar, ma gli tornarono invece chiarissimi in mente il freddo e lo stupore che lo avevano pervaso durante la traversata dell’omonimo passo quando, ancora bambino, aveva oltrepassato per la prima volta i Tagliavento Occidentali. Il cavaliere seguì il proprio signore all’interno del palazzo di Delmar, dove i nobili si accomodarono per essere messi al corrente della situazione dal ciambellano.
“Come forse saprete già, miei signori, Lord Varo e la sua famiglia sono tenuti prigionieri a Ruvan dal barone Ormond Gobran” disse Farsold, “la città è stata posta sotto assedio dai duchi nostri signori. Stiamo inviando cibo attraverso il passo per sostenere le nostre forze. L’estate è ormai alle porte e la neve è sempre meno d’ingombro: dovreste riuscire a raggiungere le forze assedianti in sette giorni di viaggio attraverso le montagne”.
I nobili ringraziarono per l’ospitalità e passarono il resto del pomeriggio a chiacchierare del più e del meno, cercando di scacciare il pensiero che, una volta varcate le porte della galleria che dalla città conduceva al passo, avrebbero scoperto il fato che li attendeva.
Report Date
27 Oct 2020