La visione
General Summary
Le due kithlas si allontanarono per impartire ordini ad alcuni membri della tribù. Questi fecero presto ritorno con un certo numero di lampade ad olio in terracotta che andarono a disporre in cerchio al centro della piazza centrale dell’accampamento, mentre tutto intorno venivano spenti i fuochi. Le sciamane raggiunsero l’interno del cerchio di luci ed invitarono Mulcrist a fare altrettanto. Poi Amhanfuar diede le spalle ad Onemwar e questa cominciò a dipingerle simboli sacri sulla schiena con una mistura di acqua e gesso.
“Ciascun kithlas possiede poteri unici, tramandati di genitore in figlio” cominciò a spiegare Amhanfuar al compagno, “talvolta un giovane non riesce ad imparare tutto ciò che il kithlas precedente conosceva, talvolta apprende poteri la cui conoscenza si credeva perduta. È il fato a determinare le capacità di un kithlas la notte del suo concepimento. La notte in cui Onemwar fu concepita, le stelle sorrisero a suo padre. Ella possiede poteri straordinari che le permettono di dare forma ai propri pensieri”.
“Che cosa vuoi dire?” domandò Mulcrist.
“Onemwar è colei che mi insegnò ad assumere l’aspetto di Sinnad” rispose Amhanfuar.
“Le stelle giocarono con Akenaises quando il seme trovò terreno fertile in lei” disse poi Onemwar, “le diedero due figli: una femmina, il cui potere era destinato ad eguagliare quello della madre, e un maschio, che sarebbe divenuto il più abile guerriero che la kerkias dell’ariete avesse mai conosciuto. Da quando il vento soffia sulla terra non si ha memoria di due figli nati da un kithlas in un’unica gravidanza e forse il sole sarà caduto sulla terra prima che un evento simile si ripeta. Ironia della sorte, l’unica a poterlo prevedere sarebbe la stessa figlia di Akenaises, Amhanfuar, colei che vede nel tempo”.
Amhanfuar si girò, dando le spalle a Mulcrist e rivolgendo la fronte ad Onemwar, la quale proseguì il proprio lavoro dipingendole il viso, il collo ed il torso.
“Uniremo i nostri poteri questa notte” annunciò Amhanfuar, “osserverò il tuo fato ed Onemwar mostrerà a tutti ciò che io sarò in grado di scorgere”.
“Se gli dèi ti saranno favorevoli, gli anziani scopriranno che il tuo spirito è puro e che le tue parole sono sincere” aggiunse l’altra kithlas.
“Ma interrogare il fato è come pescare a mani nude in un torrente in piena. Passato, presente e possibili futuri scorrono rapidi e sono fuggevoli alle mani del pescatore. Occorre scovare il punto più adatto e saper cogliere il momento opportuno” proseguì Amhanfuar.
“E nessuno sa farlo bene quanto la tua amica” precisò Onemwar.
“Ma ogni successo giunge soltanto dopo numerosi tentativi” ribatté Amhanfuar, “e se ciò che riserva il futuro è un’incognita, il passato è una certezza. Esso porta con sé gioie e dolori: le prime generano nostalgia, i secondi rimpianti e rimorsi. Osservarlo può riportare alla luce traumi che si credevano superati, così come conoscere il proprio futuro può danneggiare la mente, facendo venir meno il coraggio con cui affrontiamo le sfide ed alterando la fiducia che nutriamo verso noi stessi e i nostri alleati. Ecco perché ti metto in guardia”.
Onemwar aveva concluso la sua opera, così le due kithlas si scambiarono di ruolo e Amhanfuar prese in mano la ciotola con il gesso.
“Questo significa che vedremo un insieme del mio passato e del mio futuro?” domandò Mulcrist.
“È così” rispose la sciamana mentre tracciava le prime linee sulle spalle dell’altra, “non vi è modo di sapere in anticipo in che misura vedremo l’uno o l’altro, ma per esperienza posso dirti che li vedremo entrambi poiché dovrò fare diversi tentativi per trovare qualcosa che ti aiuti agli occhi del tapawè”.
“Va bene” disse Mulcrist con un sospiro.
Quando Amhanfuar ebbe finito con il gesso, prese posto a sedere di fronte a Mulcrist, mentre Onemwar si mise in ginocchio dietro di lei e le poggiò le mani sulle guance. Il guerriero fece lunghi respiri mentre la sua compagna intonava una cantilena. La sciamana dietro di lei cominciò a raccogliere la concentrazione chiudendo gli occhi e sussurrando parole arcane. Amhanfuar, senza distogliere lo sguardo da Mulcrist per un istante, raggiunse con la mano il sacchetto di pelle in cui teneva gli ossi per le divinazioni e li estrasse. Intanto l’intensità della cantilena aumentava e tutt’intorno nel tapawè regnava il silenzio più assoluto.
Al culmine dell’incantesimo, Amhanfuar aprì la mano e lasciò cadere gli ossicini tra lei ed il compagno. Abbassò lo sguardo e li osservò tanto intensamente che Mulcrist fu certo che non si sarebbe accorta se un cavallo al galoppo avesse attraversato il cerchio di lampade. Memorizzata la disposizione degli ossi, Amhanfuar chiuse gli occhi. A quel punto fu Onemwar ad aprirli e a rivolgere lo sguardo verso il cielo. Mulcrist si rese conto della connessione avvenuta tra le due kithlas perché gli avambracci di Onemwar tremarono per un istante. Gli occhi della sciamana si tinsero del colore delle stelle ed il cielo sembrò scendere sull’accampamento della tribù del gufo. Un leggero mormorio di stupore accompagnò l’apparire di sfere di luce che ruotavano intorno al tapawè. Mulcrist osservò lo spettacolo incantato e, per un istante, avvertì l’istinto di allungare la mano per toccarle. Ma fu in quel momento che si sentì chiamare.
“Mulcrist”.
“Calder”.
“Mulcrist!”.
Voci diverse, conosciute o meno, presenti e dimenticate si susseguivano in un coro di appelli. Poi un’immagine evanescente apparve sopra Onemwar. Mulcrist riconobbe Amlar.
“Con Mulcrist al fianco della Santa Chiesa e dell’Inquisizione, il nostro nemico non può che dirsi sconfitto. Mostrate il potere della spada, Mulcrist! Che la gente sappia che il Creatore ci benedice!” gridò l’inquisitore Ondar di fronte agli abitanti del villaggio riuniti.
Mulcrist vide sé stesso esitare e poi convocare la Madre delle spade attraverso il suo potere, tra lo stupore della gente.
“Io mi chiamo Curden, tu come ti chiami?” furono le prime parole udibili della nuova proiezione.
“Calder” rispose il bambino.
“Vieni, Calder, sei al sicuro ora” lo rassicurò il mercenario.
Gli occhi di Mulcrist si inumidirono alla vista del proprio comandante, amico e mentore. Un istante dopo l’immagine era però già svanita e, al suo posto, Mulcrist poté vedere se stesso insieme a Donovan.
“C’è una cosa che devo dirti” diceva il mago.
Il paesaggio intorno a loro era familiare al guerriero: quelle grosse pietre disposte in cerchio sulla sommità di una collina, dalla quale si poteva vedere il mare, rievocarono il ricordo della visita che Mulcrist aveva fatto con Amhanfuar ed il figlio di Ser Galoran a Wanar Gotàs. La vista dei due uomini dell’ovest in un luogo sacro degli zaré suscitò clamore tra i barbari ma presto la proiezione svanì.
“Ho l’impressione che le tue parole siano ben distanti dalle tue azioni. La tua armatura sembra ti abbia reso più importante, migliore di noi. Hai solo un ruolo più alto, ma da solo non saresti arrivato qui. Ti servivano tutti gli uomini che sono morti per te. Sprecare le loro vite senza un briciolo di pentimento non ti rende migliore di nessuno di loro. Sarai forse un cavaliere adesso, ma non credo che questo ti renda necessariamente una persona migliore” disse Calder con tono accusatorio a Ser Trestan nella visione.
Mulcrist ricordò la tensione che era scorsa tra i due durante le lunghe e fredde giornate passate sulle montagne per fermare i mercenari diretti a nord. Pur continuando a condividerne certi principi, Mulcrist non poté fare a meno di vedere quel Calder come un estraneo per i modi con cui si rapportava al cavaliere. Poi l’immagine proiettata da Onemwar si fece meno luminosa. Il portatore della Madre delle spade si vide lontano, insieme ai propri compagni, mentre una figura oscura circondata da uomini armati rideva malignamente e parlava la lingua dell’est.
“Kesàs eutaré aikin kithlas. Kopas zaré kes eutaré na warzì” diceva Dur ad Amhanfuar.
La tribù rumoreggiò, turbata dall’udire quelle parole, e Mulcrist fu scosso al ricordo del terribile scontro con il negromante sulla spiaggia di Scalforod.
Un attimo dopo il tapawè fu attraversato nuovamente da un mormorio, stavolta di entusiasmo, alla vista della Madre delle spade che si tingeva di azzurro, mentre Calder uccideva l’orco Gobruf.
“Mulcrist!” si sentì urlare Ser Trestan.
“Mulcrist” chiamò Noristacs.
“Mulcrist” gli fece eco Amhanfuar.
“Volevi incontrarmi, Mulcrist? Eccomi” disse l’uomo incappucciato.
“Oh, Calder” sospirò Iria.
“Che cos’hai fatto?” domandò inorridito Oddo mentre Calder si sollevava dal cadavere di un cavaliere con in mano un pugnale insanguinato.
“Mulcrist” chiamò Pett Gallas.
Il portatore della Madre delle spade appariva ora in piedi di fronte a Ilandra Olestar.
“Siete condannato a morte” si udì annunciare, mentre il boia sollevava l’ascia.
La pioggia scrosciante nella proiezione di quel momento passato non fu sufficiente ad oscurare la vista di Calder che veniva decapitato. Istintivamente Mulcrist si portò una mano al collo, mentre un brivido glielo percorreva lungo la linea del taglio. I barbari osservarono la scena stupefatti. Poi l’immagine svanì per fare posto a Mulcrist e Ser Trestan che si stringevano la mano.
“Non sono cambiate” diceva Amhanfuar un istante più tardi.
“Non sai quanto mi rincuori” rispondeva Mulcrist accarezzandole il viso.
“Mulcrist” chiamò Donovan.
Il portatore della Madre delle spade appariva ora circondato da un gruppo di spiriti armati della sua stessa spada. La proiezione durò solo un attimo ma Mulcrist fu in grado di riconoscerne un paio.
“Calder” chiamò sua madre con voce gentile.
“Gli dèi ti hanno favorito e, se Amhanfuar ha mentito, è loro volontà che noi siamo ingannati” diceva Karembresh in tono solenne, “non appartieni agli uomini, Mulcrist. Non sei uno di noi e non sei un uomo dell’occidente, perciò noi ti lasciamo libero di camminare sulla terra secondo la volontà divina”.
Mulcrist si vide baciare Amhanfuar. Poi lo stupore serpeggiò nuovamente nel tapawè quando i barbari videro la mano del non-morto emergere dalla terra dove era stato sepolto.
Mulcrist riconobbe le vie di Scalforod e la locanda dove aveva alloggiato con Taron. Vide l’uomo mettergli una mano sulla spalla e parlargli.
“L’unica certezza è che combatterete fianco a fianco ed è questo che ti dà forza e ti fa andare avanti: la consapevolezza di far parte di una famiglia” diceva nella visione.
Si udirono le guardie del castello di Villis gridare del suo arrivo e Mulcrist si vide di nuovo nel cortile, circondato dagli uomini estasiati.
“Mulcrist” chiamò Ser Trestan mentre le stelle tornavano a ruotare, stavolta più vorticosamente.
“Mulcrist” chiamarono Amhanfuar, Donovan e Taron.
“Mulcrist” chiamò Onemwar.
E Mulcrist chiamarono Pett Gallas, Eigar l’Indomito, Drenton e i contadini di Amlar. Mulcrist chiamarono i vecchi compagni mercenari Iralas, Suria, Dastan il Giallo e di nuovo Curden. Mulcrist chiamarono Iria e Marec, Lord Seovar, Noristacs, i guerrieri barbari e Karembresh, Dama Elanor e Ser Galoran, il demone dell’ombra, l’inquisitore Ondar, Lord Robar e padre Ulfas.
Poi la testa del drago con sei occhi, spaventosa e magnifica, apparve in uno sbuffo di fumo. Il tapawè gridò ed il cerchio si ruppe. Amhanfuar perse conoscenza e Mulcrist la afferrò d’istinto.
“Amhanfuar!” udì gridare Onemwar mentre entrambi si gettavano sulla ragazza.
Qualcuno si fece avanti per dare una mano ed Onemwar diede loro istruzioni che Mulcrist non poteva comprendere. Poi la kithlas recitò parole magiche mentre accarezzava l’amica.
“Cosa succede? Starà bene?” domandò preoccupato il guerriero.
“Sì, è esausta” rispose Onemwar, “ha bisogno di riposare. Vieni, portiamola alla sua tenda. Il tapawè s’incontrerà nuovamente domani”.
Mulcrist prese Amhanfuar in braccio e seguì Onemwar senza obiettare.
“Verrò domani a controllare come sta” promise poi la kithlas della tribù del gufo quando furono giunti alla tenda.
Mulcrist adagiò Amhanfuar su una stuoia e rimase a vegliare su di lei finché il sonno non lo prese. Tutto intorno, l’accampamento era in subbuglio: tra i barbari c’era molta voglia di parlare di ciò che avevano visto, nonostante l’assemblea fosse stata sciolta.
30 germinaio 1079
Mulcrist stava consumando il pasto che gli aveva procurato Drenton, una zuppa di latte di capra, radici e foglie, quando un guerriero zaré si affacciò dall’ingresso della tenda.
“Mulcrist, tuaré” disse l’uomo, facendo cenno di seguirlo.
Mulcrist e Drenton si scambiarono uno sguardo d’intesa ed il portatore della Madre delle spade lasciò la tenda per raggiungere la piazza dell’accampamento. Il tapawè doveva essersi riunito già da diverse ore ed Onemwar attendeva in piedi di comunicare al diretto interessato le conclusioni alle quali gli anziani erano giunti.
“Sei un caso eccezionale, Mulcrist” disse la kithlas, “questo il tapawè lo riconosce. Per la prima volta nella memoria di questa kerkias, gli anziani non riescono a trovare un accordo che li soddisfi. Puoi rimanere, ma non ti riconosceremo come nostro ospite. Non ancora, almeno”.
“Posso chiedere che cosa vi lascia in dubbio?” domandò rispettosamente il guerriero dell’ovest.
“Probabilmente sarebbe più facile dire che cosa ci convince” rispose Onemwar con un sorriso, “hai ucciso un grande capo orco e sembri affrontare i pericoli con coraggio. Gli dèi certamente ti benedicono, facendoti tornare dalla morte. È evidente che non viaggi solo. Eppure hai strani legami con la gente dell’ovest, che non tutti qui sono in grado di comprendere. E ci sono presagi preoccupanti nel tuo futuro”.
“Mi pare naturale che io abbia legami con la gente dell’ovest. È tra di loro che sono cresciuto” obiettò Mulcrist, “ma di che presagi parli?”.
“Ti abbiamo veduto in un luogo a noi sacro con un uomo dell’ovest che tu sembri conoscere ma di cui noi non sappiamo nulla” spiegò Onemwar, “e sembri legato a persone importanti dell’ovest, quelli che chiamano cavalieri. Questo ci preoccupa perché non sappiamo se sei venuto qui su loro ordine. Se decidiamo di fidarci di te lo facciamo basandoci sul nostro istinto poiché ciò che il fato ci ha mostrato non è stato sufficiente a convincere tutti. Ricorda che il tapawè non può prendere una decisione senza l’unanimità. Se non ti accogliamo come ospite non significa che tutti qui si siano opposti. Alcuni potrebbero voler dividere il loro pasto con te, altri non ti rivolgeranno la parola. Qualcuno ti tratterà con rispetto, qualcun altro potrebbe cercare di ucciderti”.
“Sembrate avere una grande opinione dei cavalieri se pensate che siano in grado di convincere un uomo come me ad affrontare un viaggio come questo” obiettò Mulcrist, “per quanto riguarda il futuro, mi pare di aver capito che si tratti di possibilità, non di certezze”.
“Soltanto Amhanfuar sarebbe in grado di dire cosa è certo e cosa non lo è” disse la kithlas, “capisco la tua determinazione nel voler ribattere ad ogni obiezione ma, come forse avrai intuito, i tuoi sforzi sono inutili. Non è me che devi convincere e non ci sono parole che tu possa trovare per cambiare le cose: veniamo da due mondi diversi”.
“Apprezzo che mi concediate la possibilità di restare” concluse quindi Mulcrist, “ma adesso cosa dovrei fare?”.
“Prenditi cura di Amhanfuar, lei è nostra ospite” rispose Onemwar, “se è tuo destino che questo tapawè riconsideri la tua posizione, sono certa che gli dèi ti concederanno presto l’opportunità per far sì che ciò accada”.
“Come posso congedarmi con rispetto?” domandò Mulcrist.
“Gotàs san tewanwaré è ciò che devi dire” rispose la kithlas.
“Gotàs san tewanwaré” ripeté il guerriero, esibendosi d’istinto in un inchino rivolto a tutto il tapawè. Poco dopo rientrò alla tenda dove Amhanfuar riposava.
“Tutto bene?” domandò a Drenton.
Non potendo rispondere, l’uomo annuì per rassicurarlo.
“Il tapawè non intende riconoscermi come ospite” proseguì Mulcrist, “ma posso comunque rimanere”.
Drenton fece intendere che la cosa non lo sorprendeva. In quel momento Amhanfuar aprì gli occhi.
“Mulcrist” fu la prima cosa che disse.
I due uomini la aiutarono a mettersi a sedere.
“Quanto tempo è passato?” domandò la kithlas portandosi una mano alla testa, evidentemente frastornata.
“È mezzodì” rispose Mulcrist, “come ti senti?”.
“Abbastanza bene, solo un po’ stordita” disse la ragazza, “e affamata”.
Drenton le parlò in lingua keish e andò a cercarle del cibo. Mulcrist la mise al corrente della decisione del tapawè.
Più tardi, come aveva promesso, Onemwar fece il suo ingresso nella tenda e si fermò a parlare con Amhanfuar. Mulcrist le ascoltò attentamente, pur riuscendo a comprendere solo qualche parola, finché un’anziana si affacciò a sua volta all’interno e venne verso di lui. Farneticava qualcosa in keish e stringeva in mano una collana di spago con denti di lupo come ciondoli.
“Kos” disse più di una volta, porgendo la collana a Mulcrist.
“Desidera farti un dono” tradusse Onemwar con un sorriso.
“Come posso ringraziarla?” domandò il ragazzo allungando la mano per prendere la collana.
“Dawès” rispose la kithlas.
“Dawès” ripeté lui.
L’anziana gli sorrise e disse qualcosa.
“Dice che stasera dovresti assistere al nawà klem” spiegò Onemwar.
“Che cosa sarebbe?” domandò Mulcrist.
“Musica e danze” rispose Amhanfuar sorridendo, “ma non devi ballare”.
“Potrei sorprenderti” scherzò lui.
Le due kithlas si scambiarono uno sguardo divertito.
“Deim” disse Mulcrist per accettare, “dawès”.
La donna sorrise, salutò e si allontanò soddisfatta, mentre Mulcrist indossava il suo dono.
Intanto, nel baronato di Villis, la colonna di uomini di Delanim e di Orbas si era fermata per una breve sosta. Ser Trestan si avvicinò ai suoi uomini per controllare le loro condizioni ed uno di loro si fece avanti.
“Mio signore, gli uomini si domandano: se ci dirigiamo a sud c’è buon motivo di pensare che è perché la guerra ancora non è finita, perché allora Mulcrist e Taron non sono più con noi?” chiese il contadino.
“Gasbard, non ti devi preoccupare” rispose Ser Trestan con tono rassicurante, “andiamo verso sud e, come vedi, il grosso delle forze del ducato si muove unito e compatto. Quelli che mancano sono stati chiamati a svolgere incarichi speciali, perché così accade a chi si fa notare sul campo per le proprie abilità. Taron è un grande combattente e non solo, c’era bisogno di lui altrove. Per quanto riguarda Mulcrist, capisci perfettamente che le chiamate che può ricevere sono di ben altro tipo”.
“Certo, mio signore” disse l’uomo chinando il capo.
Amhanfuar e Mulcrist stavano passeggiando per l’accampamento.
“Come stai?” gli chiese lei, “spero non sia stato troppo traumatico”.
“Bene. È stato incredibile, ma niente di traumatico. Certo, la scelta di mostrarci il drago…” disse il guerriero ridendo.
Amhanfuar sorrise di rimando ma dentro di sé era turbata.
“Non è stato proprio intenzionale. Non ne capisco il significato” spiegò poi.
“A me sembrava una rappresentazione del Creatore venerato nel regno di Artan” ribatté Mulcrist.
“Lo era senza dubbio. Ma il significato resta oscuro” disse Amhanfuar.
“In un’altra visione mi trovavo a Wanar Gotàs con Donovan” rifletté il guerriero, “curioso”.
“Lo è” convenne la kithlas, “in qualche modo lo sapevo già e avevo cercato di intervenire per evitarlo. Eppure quel frammento di futuro rimane lì, probabilmente è destino che avvenga”.
“Cosa hai cercato di evitare?” chiese confuso Mulcrist.
“Che Donovan ed il suo maestro venissero a cercarti” rispose Amhanfuar.
“Per quale motivo vorresti impedirglielo?” domandò lui incuriosito.
“Perché non è sicuro per te e non è sicuro per loro” spiegò la ragazza, “come avrai facilmente intuito, vederti con Donovan a Wanar Gotàs ha sollevato dubbi tra i membri del tapawè. Quella visione ti ha danneggiato ai loro occhi. E Donovan correrebbe grandissimi rischi venendo qui a cercarti”.
“Non so se quell’immagine sia un futuro da cui non posso sottrarmi o una possibilità. Nel primo caso, non mi sembra ci sia da preoccuparsi, perché significa che Donovan ci arriverà sano e salvo; nel secondo, ho ancora la possibilità di evitare che accada” rifletté Mulcrist.
La sciamana si guardò intorno sospirando.
“In ogni caso, dovremo lavorare più duramente per farti accettare. Ma vedo che ti stai già mettendo avanti” disse poi sorridendo e toccandogli la collana di denti di lupo.
“La serata si prospetta interessante, non potevo dire di no all’invito” disse lui sorridendole di rimando.
Amhanfuar sorrise maliziosamente e non rispose.
“C’è qualcosa che dovrei sapere? Non è che ballate nudi?” domandò scherzosamente Mulcrist, pur essendo sinceramente incuriosito.
“Ci sei andato meno lontano di quanto pensi” rispose la kithlas, “a proposito, credo che dovrei andare a prepararmi: ho ancora addosso la pittura di ieri sera”.
Il sole calò ed i fuochi furono accesi. Mulcrist salutò Drenton e seguì il suono dei tamburi che avevano già iniziato a suonare. Raggiunse la piazza dell’accampamento e vide che alcune giovani già ballavano al centro, mentre gli anziani stavano seduti e tenevano il ritmo battendo le mani e i piedi. Vi erano anche alcuni strumenti a fiato, ricavati principalmente da ossa di animali, ma erano i tamburi a dominare la scena e la musica ricordava più quella degli orchi che Mulcrist aveva udito sulle montagne che quella delle feste nei villaggi del regno. Le danzatrici avevano adornato i propri corpi con pitture i cui significati rimanevano ignoti al ragazzo, che ne fissava attentamente i movimenti.
“Le donne che vanno a danzare nel cerchio sono in cerca di un compagno per la notte” disse Onemwar raggiungendolo, “gli uomini osservano la loro danza, scelgono la donna che vorrebbero come compagna e vanno a danzare intorno a lei”.
Mulcrist guardò nel punto che la sciamana gli stava indicando e vide che diversi guerrieri osservavano la danza e si preparavano a fare il loro ingresso nel cerchio formato dai suonatori tutt’intorno.
“A quel punto sarà la donna a scegliere chi di loro ha danzato meglio e lo condurrà con sé per giacere insieme questa notte” proseguì Onemwar, mentre alcuni uomini iniziavano a danzare, “se gli dèi sono benevoli, il seme troverà terreno fertile in molte di loro”.
“Solo per una notte?” domandò sorpreso Mulcrist.
“Sì. Non capiamo questo vostro bisogno di legare uomini e donne per tutta la vita” rispose la kithlas con tono incerto, segno che parlava più per sentito dire che per esperienza diretta.
“Così come tu mi stai aiutando a capire la vostra cultura, sarò lieto di rispondere alle tue domande su quella del regno di Artan” disse Mulcrist, “capisco che le nostre usanze possano sembrare strane per voi”.
“Cosa succede se un uomo e una donna legati…” cominciò Onemwar.
“Sposati?” la corresse lui.
“Sposati. Cosa succede se il seme dell’uomo non è buono o se la donna non è fertile?” domandò la kithlas.
“Il matrimonio si può annullare in questo caso” rispose Mulcrist.
“Allora perché si legano? Perché non giacciono insieme prima?” chiese Onemwar.
“Perché una donna che ha già giaciuto con altri uomini non è vista bene e nessuno la vorrebbe sposare” spiegò il guerriero.
Ma mentre parlava Mulcrist capì che le sue parole non avrebbero avuto alcun senso alle orecchie della kithlas e riuscì a prevedere la domanda che questa gli avrebbe fatto immediatamente dopo.
“Ma perché?” chiese Onemwar.
“Non è facile da spiegare” ammise il guerriero, “se credi che avere una sola donna per tutta la vita sia la cosa giusta, non vuoi avere la donna che è già stata di qualcun altro”.
La sciamana annuì per far segno di aver compreso, ma era evidente che la logica dell’ovest non avesse alcun senso per gli zaré. Poi Onemwar vide Amhanfuar dall’altro lato della piazza e diversi membri della tribù del gufo che la spingevano scherzosamente verso i danzatori.
“In quanto nostra ospite, la tua compagna offrirebbe un gesto di amicizia partecipando alle danze” disse la kithlas sorridendo ed indicando Amhanfuar, “se non lo facesse, gli anziani potrebbero dubitare di lei”.
La reazione di disapprovazione sul volto di Mulcrist fu evidente, mentre Amhanfuar ridendo si univa alle danze.
“Nessun uomo la sceglierà da subito come compagna poiché una kithlas certamente non concepirà un figlio questa notte” tentò di rassicurarlo Onemwar mettendogli una mano sulla spalla, “ma se qualcuno di loro dovesse rimanere senza una compagna, potrebbe comunque decidere di giacere con Amhanfuar”.
“Prima che questo succeda, mi sa che dovrò andare a ballare” disse Mulcrist slegando il fodero della Madre delle spade.
La kithlas si fece consegnare la spada e sorrise divertita mentre l’uomo dell’ovest si dirigeva verso Amhanfuar, pronto a coprirsi di ridicolo. Gli anziani che erano lì vicino scoppiarono infatti a ridere non appena Mulcrist cominciò ad imitare goffamente i movimenti degli altri danzatori. Amhanfuar però gli sorrise e lo incoraggiò con dei gesti, prima di cominciare a ridere di gusto a sua volta. Lui non si arrese e, prendendolo come un gioco, riuscì a ridere di sé stesso e a persistere, seguendo anche i consigli che la compagna gli dava. Ad un certo punto però, un altro guerriero venne a danzare vicino ad Amhanfuar, dopo essere stato scartato da un paio di altre donne. La ragazza continuò a ballare in mezzo ai due per un po’. Era evidente che l’uomo della tribù del gufo fosse un danzatore decisamente migliore di Mulcrist ma alla fine Amhanfuar allungò la mano verso il suo compagno di viaggio. Questo fece per prenderla ma il guerriero zaré urlò infuriato. La musica cessò all’improvviso e tutto intorno scese il silenzio. Amhanfuar si rivolse nella sua lingua al guerriero cercando di calmarlo, ma questo inveì puntando il dito prima contro di lei e poi contro Mulcrist. Seguì un altro scambio di rapide battute, poi l’uomo impugnò l’ascia che portava al fianco e Mulcrist, d’istinto, si frappose tra i due.
“Ne” disse l’uomo dell’ovest in lingua keish, per invitare il rivale a desistere.
Il guerriero zaré lo insultò e gli puntò contro l’arma.
“Ne” ripeté Mulcrist.
“Kesàs wisàs mugù, nomagandré ti ne krekassaré tomàs madu” intervenne nuovamente Amhanfuar, pur consapevole che le sue parole non avrebbero avuto effetto.
L’uomo della tribù tornò a minacciare Mulcrist.
“Non c’è altro modo” ammise Amhanfuar, “hai danzato peggio di lui e non accetta che io ti scelga come compagno per la notte. Gli ho detto che lo ucciderai ma non può sottrarsi. Nessuno ha il potere di criticare la mia scelta ma tutti si faranno beffe di lui per non essersi fatto valere. È una questione d’onore”.
“Che cosa succede se lo uccido?” domandò il portatore della Madre delle spade, preparandosi a convocare l’arma.
“Non succederà nulla di diverso da ciò che tutti si aspettano” spiegò la kithlas.
“Non voglio ucciderlo” obiettò Mulcrist.
“Se non lo affronti, devi farti da parte. Se non lo uccidi, sarà lui ad uccidere te” rispose Amhanfuar.
Il portatore sospirò e richiamò a sé la spada. Tutti si fecero indietro per lasciare spazio ai due contendenti.
“Ne” disse ancora una volta Mulcrist.
Ma l’uomo gli si scagliò contro rapidamente e con tale furia che il guerriero dell’ovest non riuscì a parare il colpo. D’altra parte, l’armatura fu sufficiente a proteggerlo contro la bassa qualità dell’arma impugnata dal barbaro. Mulcrist sferrò un calcio all’avversario per allontanarlo e menò un fendente dall’alto. Il barbaro scartò di lato e tentò a sua volta invano di colpire il rivale. Rotolò sulle ginocchia e si alzò in piedi appena in tempo per incassare a pieno petto l’affondo di Mulcrist tra i mormorii degli spettatori. Il guerriero dell’ovest estrasse lentamente l’arma dal corpo del suo avversario ed il barbaro gli crollò davanti con lo sguardo perso, mentre un fiume di sangue gli sgorgava dal petto. Dopo pochi istanti arrivarono un paio di uomini a raccogliere il cadavere, mentre tutto intorno regnava il silenzio. Mulcrist guardò Amhanfuar, che gli annuì con espressione seria e lo prese per mano, portandolo via dalla piazza. Sulla via per la loro tenda, incrociarono Onemwar, la quale allungò a Mulcrist il fodero della spada.
“Dawès” la ringrazio lui, “era questo ciò che ti aspettavi?”.
“Non mi aspettavo nulla” rispose la kithlas, “ma hai agito come un uomo zaré e gli zaré ti osservano”.
Mulcrist annuì poco convintamente prima che Amhanfuar lo trascinasse via.
“È stato uno spreco” rifletté ad alta voce il ragazzo.
La sciamana si girò di scatto a guardarlo fingendo di essersi offesa.
“No, non intendevo per te” si corresse Mulcrist imbarazzato, “uccidere non è una cosa che mi piace fare con tanta leggerezza”.
“Non ha dato la vita per prendere piacere con una donna” spiegò Amhanfuar, “l’ha data per difendere il suo onore. Questo dovrebbe essere un concetto familiare anche agli uomini del regno di Artan, anche se di solito è un principio che si associa principalmente ai cavalieri. Adesso nessuno potrà ridere di lui”.
“Spero che questo sia di conforto per chi lo conosceva” disse il ragazzo guardando la spada ancora insanguinata.
“Lo è senza dubbio” gli assicurò la kithlas, “ora vieni”.
Entrarono nella tenda e giacquero insieme.
Report Date
13 Oct 2020