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SESSIONE 3 {Dereg} - A Forteventura e ritorno

17, Mese di Spigarobusta, Anno del Gran Raccolto (10721 secondo gli Anni degli Alberi)   Grol chiese al fratello goblin, che già avea percorso questi passi, se fosse sicuro operare un riposo breve.   Prendemmo la testa del gruppo, e ci allontanammo dai fratelli girini di 4-5 ore onde trovare posa.   Il riposo da breve poté così diventare più lungo.   Mettemmo ai voti se tornarvi. Io ero chiaramente favorevole a tale eventualità: se durante il viaggio in questa foresta paludosa avevamo incontrato un luogo presidiato da più forti lucertoloidi, potevo ben comprendere la remora di Morghid, non eravamo ancora pronti a siffatto scontro. Ma incontrare nella grotta rane umanoidi e girini...beh, abbiamo già dimostrato di poter avere ragione di loro. Non avremmo forse trovato tracce del nostro spirituale da riportare nel villaggio orchesco, ma avremmo potuto trovare magari oggetti ed armamentario migliori.   Tuttavia i miei compagni di viaggio non erano propensi ad addentrarvisi, men che meno Morghid, che sembrava avere i paraocchi di un palafreno, tanto era focalizzato sulla sua cerca in direzione del fortino di Forteventura. E se si fosse sbagliato ed il suo amico stesse in pericolo in quella grotta?   In preda a questi dubbi ci accampammo. Nel mio turno di guardia con Nahida provai nel contempo ad addestrare un animale, poi un altro, ma non riuscii. Ma è solo una questione di tempo e di esperienza, e prima o poi ci riuscirò, ne sono certo. Non foss'altro per l'anima animale che cresce in me, ed è ormai matura e pronta a manifestarsi, lo sento. E mi sento ormai parte del Circolo, come avevano predetto gli Anziani.   Passarono due ore tranquille.   A mezzanotte, durante il turno di riposo, fui svegliato dal fratello bugbear: uno stormo di uccelli ed animali terrestri erano di passaggio. Venivano dalla direzione di Forteventura, e si dirigevano verso nordest. V’erano anche arpie fra di loro, e gli animali più disparati, corvi, aquile, conigli, tassi. Tutti sembravano fuggire. Andammo dunque verso sudovest, verso il fortino, meta del nostro secondo incarico (considerando come primo, appunto, le arpie).   Ci trovammo davanti ad una sorta di monolito, viola e luminescente.   La sorella fatina rimase perplessa, come se si stesse sforzando a ricordare.   Chiese alla nostra guida se convenisse restare ancora lì per studiare meglio la cosa, ma un nervoso Morghid al solito non voleva trattenersi.   Grol staccò un pezzo facilmente.   Mi sembrò un gesto sciocco e forse addirittura irriverente, eppure appena lo fece, provai il forte impulso di toccare anch'io la singolare roccia. Lo feci. E per un attimo la vista divenne sbiadita. Tolsi la mano per timore, ma non era una sensazione di pericolo, quindi la ritoccai, ed entrai in Comunione con una strana creatura, un enorme cervo biancastro con un meraviglioso e ramificato palco.   Come se conoscessi la cosa da sempre, compresi che ero in grado di domandargli tre cose, alle quali avrebbe risposto affermativamente o negativamente.   Gli chiesi se il percorso sudovest fosse sicuro, e mi rispose positivamente.   Domandai poi se la roccia avrebbe potuto esserci ancora di aiuto nel corso della giornata, ed anche lì il nobile ruminante assentì.   L'ultima domanda la dedicai allo scopo del nostro viaggio, ed infatti volli sapere se la guida spirituale del villaggio sarebbe stata da noi trovata nel corso di questa giornata. Stavolta la risposta fu negativa, ma, forse perchè era la mia ultima domanda, forse perchè non eravamo così lontani dal trovarlo, che il grosso erbivoro ci fece capire che lo avremmo trovato, ma non nella giornata di oggi.   Vedemmo in lontananza una costruzione con una tempesta. Era il fortino, e non era così lontano.   Anche Nahida volle distaccare un pezzo dalla roccia ed ebbe delle percezioni che si tenne per sé, spendibili in futuro.   Giungemmo nei pressi di Forteventura.   Le nuvole cupe si rivelarono essere sul fortino, ma non attorno. Erano nuvole pregne, con tuoni e lampi.   Eravamo di nuovo al tramonto. Tempo di riposare prima di entrare, oppure di sfruttare l'oscurità e la nostra scurovisione per entrare indisturbati. Il problema sarebbe stato unicamente di Nahida, che non sembrava così abituata al crepuscolo.   Non vidi luci, ma solo del fumo venire dall’accampamento.   La terra era battuta e non ci consentiva un ottimale nascondimento.   Grol si avvicinò al forte, ed io alla sua destra.   Vi erano trappole, ma abbastanza facilmente individuabili con la nostra vista.   Tutto tranquillo sembrava, silenzioso, senza nessuno in vista.   Il cancello era aperto a metà, e nessuno a guardia di esso.   Scorgemmo tende, e costruzioni in muratura, e due torrette che non sembravano presidiate.   V'era odore di bruciato e sangue.   Due umani riversi in terra, entrambi vestiti allo stesso modo, morti, combattendo, come se si fossero uccisi fra loro.   Andai a destra e mi nascosi lungo la muratura.   Una tenda aveva preso fuoco.   Vi era un’armeria, con fiamme che si sprigionavano anche da lì.   Oltrepassata la salmeria, ci avvicinammo alla struttura centrale. Altri morti. Li analizammo, nessuno sembrava posseduto. Almeno apparentemente.   Arrestammo Grol e Nahida per fare un Rituale di Individuazione del Magico (Morghid restò al cancello, tanto titubante ora quanto era stato fermo nel voler raggiungere questo posto). Non sembrò luccicare nulla.   Accendemmo un ceppo e ci avvicinammo a Nahida, che finora era stata sulla spalla di Grol, per consentirle di vedere più nitidamente.   Sembrava una sala riunioni. In fondo alla stanza, una porta divelta. Lanciammo un ciottolo, ma nessuna risposta. Intanto Morghid, tremante, si avvicinò. Si inchinò, e raccolse qualcosa. Ci avvicinammo. Teneva in mano una specie di medaglione infranto…che ci disse che apparteneva a Bol’bara, il nostro da salvare.   All’interno della stanza, due uomini morti, vestiti diversamente. L'armigero aveva un’armatura migliore delle altre, come se fosse il capo della guarnigione. L’altro con una tunica tipo sacerdote.   Notammo delle catene rotte, e lungo i muri attrezzi forse di tortura. Tutti gli indizi parevano condurre a Bol'bara tenuto in cattività.   Analizzammo i due cadaveri. Il chierico pareva avere una protesi in metallo al posto della mano destra, con un anello. Era un simbolo di Vesh, una semidea, definita "la sirena sanguinaria", associata ai domini di morte e vita, una divinità malvagia, ambigua e traditrice. Strano che Vesh fosse adorato dall’impero dwendaliano.   L'esorcista giaceva vicino al tavolo a pancia in giù; il comandante, invece, era appoggiato al muro con la mano a fermare l’emorragia al collo.   Mostrammo a Morghid le unghie che avevamo trovato nei pressi del luogo di tortura: potevano essere del suo compagno?   Cominciò a correre in direzione di casa... non invero una scelta saggia correre in una foresta repleta di perigli nel cuore della notte.   Ci decidemmo di seguirlo...   Che la Vecchia Fede mi illumini...   Naamarie...
Giunti allo punto con piè lesto,
scorgemmo delle nubi in su di esso,
ma quando addivenimmo sì più presso,
niuno parve vivo al buio pesto.
Morti, divinità e tracce di tortura,
fecer sì che'l goblin arretrò di paura.

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