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“Sin dagli albori del casato Dalavash, tutti noi abbiamo sempre seguito il Sentiero della Luce, impiegando corpo e spirito al servizio di il-Yannah. Ma preghiera e gentilezza non sono né arma né scudo contro i Sognatori Oscuri, e così oltre otto secoli fa abbandonammo Adaran, la nostra casa, per giungere nel Khorvaire.
Per secoli vagammo seguendo il Sentiero, proteggendo i deboli e combattendo contro il male dilagante. Fu Torashtai Dalavash che trovò una casa e uno scopo, durante l'Anno del Fuoco e del Sangue combattè orde di immondi al fianco di Tira Miron, e nella fiamma del suo sacrificio, vide la manifestazione di il-Yannah.
Roccafiamma divenne la nostra nostra casa e quelli della Fiamma Argentea, i nostri principi.”
Ero l'ultimo dei tredici figli di Malharath Dalavash, che come loro padre, morirono tutti durante l’Ultima Guerra mentre ero ancora un bambino. Crebbi così, con i racconti di battaglia del mio amato nonno Parmelk e i suoi saggi insegnamenti. Il nonno è l’unico Dalavash che non è morto durante la guerra, un colpo d’artiglieria lo colpì, menomandolo e rendendolo cieco, ma grazie al forte legame con Lavash, non aveva bisogno degli occhi per vedere, della bocca per parlare o del corpo per combattere; mi insegnò tutto e con orgoglio intrapresi il cammino templare già percorso da lui.
Ho servito il Thrane durante la guerra, sospinto dai venti del’ira di Lavash ho punito i nemici della Luce e difeso gli innocenti dalle Ombre che essa proietta.
Durante l’assedio di Thaliost eravamo equipaggiati con delle T-60 Golem, armature magiche alimentate da dei potenti artefici. Fu lì che conobbi Melindri, non mi sarei mai aspettato di poter condividere un legame così profondo al di fuori del clan. Durante il giorno la sua magia mi avvolgeva, calda e accogliente come il grembo materno, ma solida ed impenetrabile come le mura di Roccafiamma; nella notte le nostre menti ed i nostri corpi si univano in un'estasi mistica, forgiando un'unione più resistente delle leghe naniche.
Dopo il Trattato di Fortetrono fummo riassegnati, lei di stanza a Thaliost, io in giro per il Khorvaire; ma ci lasciammo in piena serenità e con la certezza che le nostre strade si sarebbero riunite.
Per quanto fosse difficile cercavo di non pensare al Lutto, pensieri inquieti tormentavano la mia mia mente, cercando di capire l’origine di questo male, forse fin troppo oscuro per poter arrivare da questo piano.
Ero oltre i confini dell’Aundair, accampato al limitare del Bosco Torreggiante, Zarantyr stava ormai lasciando il posto a Olarune, la cui luce arancio proiettava strane ombre alle porte della foresta.
Le razioni scarseggiavano e purtroppo la mia breve sessione di caccia non era andata bene, costringendomi a ripiegare su funghi e radici selvatiche, le ombre del falò danzavano maligne e con le loro risate sconnesse si facevano gioco di me. Si nascondevano dietro le sagome degli alberi, sussurrando qualcosa che non riuscivo a capire, le fiamme brillavano più intense che mai e ad ogni crepitio della legna che bruciava, il mio cuore saltava un battito.
Mi alzai barcollando, sembrava che pure le mie gambe, anzi il mio intero corpo agisse di sua volontà, incespicando verso la boscaglia. Dei ghigni malvagi mi attiravano sempre più verso le oscure profondità del bosco, quando dal nulla, quattro figure vagamente animalesche mi si avventarono addosso. Mi agitai, per scacciare le ennesime fantasie che ormai avevano preso il mio controllo, ma queste invece che sparire, affondarono le zanne nella mia carne, dilaniandola, mentre decidevano come spartirsi la mia pelle.
Stavo per incontrare la mia fine, allucinato da funghi velenosi e sbranato da una compagnia di gnoll. Cadendo a terra sotto i colpi dei miei aguzzini, diedi un ultimo sguardo alla Sentinella e la sua pallida luce arancione, per poi sprofondare nel buio dell’incoscienza. Quando riaprii gli occhi Olarune svettava ancora maestosa nel cielo, con le sue strisce nere, i suoi profondi occhi gialli e i suoi lunghi baffi che mi solleticavano il volto; poi persi nuovamente i sensi mentre un possente umanoide dalle fattezze feline caricava le mie membra esauste sulle sue spalle.
Le seguenti notti furono le più atroci che ricordo, non potevo muovermi ed ero in balia di una bestia che probabilmente provava solo odio nei miei confronti. I miei sogni erano affollati dalle immagini della Crociata Argentea, con i miei antenati che battagliavano orde di lupi, orsi e topi mannari.
E sapevo che lui sapeva, le sue pupille affilate mi osservavano spesso, fredde ed imperscrutabili. Ma ancora non capivo perché fossi ancora vivo, era forse un gioco, una sorta di tortura psicologica? Spesso sentivo una melodia malinconica, quasi sovrannaturale, fatta di suoni striduli e gorgheggi viscerali, che mi trascinava nell’oblio.
Tentai di fuggire, più di una volta, ma il corpo mi si ribellava con una tempesta di dolore e non potevo fare altro che aspettare la mia fine.
Mi svegliai una mattina (Era veramente mattina? Non vedevo più il cielo da settimane e non potevo esserne certo) e davanti a me, si parava una figura nuova, diversa dal mio carceriere. Un elfo, chiaramente antico, sedeva davanti a me, accarezzando un bizzarro strumento; “Bene, ora potremo parlare più agevolmente”. La sua voce era soave, ma il suo sguardo era sempre lo stesso.
Nelle settimane seguenti ebbi l’infinito onore e piacere di conoscere Himo e di godere della sua saggezza: mi raccontò a lungo della sua vita, della Crociata Argentea e del suo esilio volontario; e suonando quella che lui chiamava l’arpa di Dolurrh, lentamente sanò le mie ferite.
Disquisimmo a lungo della malattia che lo affliggeva, di come un'ombra non fosse oscurità, e come ogni cosa si piega alla volontà della luce.
Nelle sue parole trovai conforto e illuminazione, imparai molto sui cicli delle dodici lune e su come esse influenzano le vite dei mannari, mi insegnò a ruggire come una tigre e inoltre sviluppai una certa passione per l’arpa di Dolurrh e la sua musica spettrale.
Infine si offrì di accompagnarmi lungo la via di casa, fin dove gli sarebbe stato possibile, e così viaggiammo nella foresta, fin quasi al confine con Aundair, dove le nostre strade (ma non i nostri cuori) si separarono.
Da qualche settimana ero tornato a Thaliost, nel caldo abbraccio di Melindri, quando una notte i selvaggi ricordi delle battaglie di Lavash, furono sostituiti da un insolito nuovo ricordo: pinnacoli alti fino al cielo ed oltre, una donna e un bambino. Per diverse notti questi ricordi si susseguirono, come a chiamarmi verso Sharn; avevo sentito dire da nonno Parmelk, che uno dei miei fratelli, durante la guerra aveva prestato servizio nel Breland.
Che fosse ancora vivo? O semplicemente Lavash si era legato al suo discendente? In ogni caso il clan non poteva essere abbandonato, e, se veramente un nuovo Dalavash era nato, era mio compito arrivare da lui, per portarlo sul Sentiero della Luce, prima che i Sognatori Oscuri lo trovassero.
Ora lascio un’altra volta Melindri e, zaino in spalla, parto per Sharn.
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