Att'ume e Sine (mito)
In un piccolo villaggio nel deserto, ai piedi di una grande montagna, vivevano due sorelle.
La prima si chiamava Att’ume, ed era ritenuta da tutti una ragazza gentile e saggia, tanto che perfino lo shaves, il capo e consigliere della tribù, spesso le faceva visita per chiederle consiglio.
Purtroppo la natura non le aveva donato un fisico sano, e passava il suo tempo a letto.
Sua sorella al contrario, Sine, era un vulcano di energie, nata dopo 3 anni dalla maggiore, si era fin da subito dimostrata una bambina irrequieta, e la sua rossa chioma sventola in ogni dove alla ricerca avventure e sfide da affrontare.
Le due erano inseparabili, e per quanto Sine girovagasse tutto il giorno versi luoghi sconosciuti si premurava sempre di tornare al calar del sole per stare con Att’ume.
Una sera tuttavia Sine non fece ritorno alla tenda della sorella, ma la madre la rassicurò subito:
“Si sarà persa nello seguire qualche cervo incontrato per caso, tornerà a breve”
Intanto il sole era tramontato e l’esterno stava diventando freddo e buio.
A calmare l’animo della giovane ragazza intervenne lo Shaves in persona
“Sine è una bambina energica ma non è una stupida, non si metterebbe in nessun guaio, specialmente se le impedirebbe di tornare da te, avrà solo preso la via più lunga”
Ma col passare delle ore diventava sempre più chiaro che Sine non sarebbe mai tornata dalla sua famiglia.
Att’ume pianse e si disperò tanto quella notte, in tal misura che consumò le poche energie che le rimanevano, e cadde in un sonno talmente profondo che chiunque l’avesse vista l’avrebbe data per morta. In quello stato pregò con ogni sua forza Irtmal’hal affinché potesse avere la salute per poter ella stessa partire alla ricerca di Sine, alzandosi dal proprio letto per la prima volta dopo anni.
Quando si risvegliò nella tenda non c’era nessuno, l’avevano abbandonata per cercare la piccola dispersa, ma lei non si sentiva triste, una nuova vita le scorreva dentro, e per la prima volta senza nessun aiuto si tirò in piedi.
Posò lo sguardo al di fuori, era il buio più totale, facendo un passo non si sarebbe vista la punta del proprio piede, ma ciò non la spaventava, prese una torcia che si trovava lì vicino ed esclamò:
“Io prendo questa torcia e fendo l’oscurità”, per poi incamminarsi verso le montagne.
Procedette per così tanto tempo ed ad un tale passo che anche il più forte degli uomini sarebbe stato esausto, ma ella continuava senza sentire la fatica, brandendo quella torcia che distruggeva le tenebre intorno a lei mentre bruciava ininterrottamente.
Dopo un po’ di tempo, quando ormai si era avventurata nei monti, per quelle strade che la sorella le aveva molte volte descritto, notò che una parte del percorso che dava su un burrone era franato, e sporgendosi poté con orrore osservare il corpo esangue della sorella, che doveva essere scivolata non notando una zona cedevole sul percorso.
Att’ume pianse nuovamente per la perdita, ma questa volta non si disperò, e pregò un’ultima volta in signore degli astri, affinché potesse raggiungere Sine ed illuminarle il cammino almeno nell’aldilà.
Irtmal’hal acconsentì, ed anzi, egli volle premiare la giovane fanciulla, dandole il compito non sono di illuminare il cammino per la sorella, ma per tutte le anime che l’avessero voluto raggiungere.
Da allora Att’ume e Sine percorrono, finalmente assieme, la volta celeste ogni notte, rischiarando il cammino per coloro che sono tra i vivi e coloro che stanno raggiungendo gli astri.
E se alzando il cielo doveste non vederle non disparate, è solo Sine che se ne è andata alla ricerca di qualche avventura, seguita da Att’ume, che non la lascerà mai più sola.
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