La Battaglia dell'Ascesa Prose in Cybelune | World Anvil

La Battaglia dell'Ascesa

L'umidità che la pioggia si stava lasciando dietro non faceva altro che rendere ancora più insopportabile il tanfo di sangue e sudore, mentre il sangue e la carne del demone che aveva appena baciato la bocca del fucile di Nigel gli cadevano addosso. Gli spari degli orchi e la voce di Andrew gli giunsero ovattati oltre il continuo fischio alle orecchie, come se giungesse dall'altra parte del mondo, e non dal lato opposto della strada “Nigel! Devi salire in cima a quell’edificio per liberare la piazza!”

La piazza, giusto! Un brulicare di diavoli minori che sorvegliavano e proteggevano un misterioso artefatto mentre gli orchi e tutti i clan di Thalmis cercavano di impossessarsene. Nessuno sapeva cosa fosse, solo che i mostri nelle ultime due settimane non avevano fatto altro che strapparselo dalle mani a vicenda. Questo aveva catturato l’attenzione dei clan, che per la prima volta dopo il Collasso Dimensionale collaboravano per un obbiettivo comune, spronati dagli elfi della lontana Tilena. La strada che avevano imboccato era sfortunatamente sotto il controllo degli orchi, le macerie che fino a quel momento gli avevano permesso di avvicinarsi non potevano supportare una tattica risolutiva e Andrew aveva individuato nei balconi la posizione giusta per chiudere la questione ed entrare nella piazza.

“Ci penso io!” Urlò Camlion che stava già oltrepassando una porta scardinata, allontanandosi dal gruppo.

“Ehi! Dove credi di andare?!” Nigel scoppiò di rabbia inveendo contro l’elfo, come un bambino a cui avevano tolto il giocattolo.

“A fare quello che non sei in grado di fare” rispose l’elfo con il suo solito tono saccente, mentre già si occultava nell’oscurità del corridoio, rinfoderando la spada per passare all’arco.

“Fanculo! Lo odio quello stronzo! Perché ce lo dobbiamo portare appresso? Ce la siamo sempre cavata benissimo senza elfi tra le palle!” sbottò Nigel, non curandosi dei proiettili che stavano fischiando verso la sua direzione.

“Cazzo Nigel, non ora!” lo rimproverò Kimby, seccata dai continui battibecchi tra i due, mentre si muoveva in copertura al fianco di Andrew, tenendo in mano il proprio CAST che pochi minuti fa aveva smesso di funzionare. Andrew guardò Nigel negli occhi, un gesto di intesa sviluppato negli anni insieme che rendeva superflue le parole che stava per pronunciare “Lascialo stare, pensa a fare il tuo lavoro e porteremo a casa la pelle”. Un cenno con la testa prima di rimettere il fucile nel fodero, estrarre lo spadone e sfondare rumorosamente il portone vicino, pronto a infilzare qualsiasi cosa tra lui e la sua postazione al balcone del secondo piano.

“Avremmo dovuto tenerli in squadre separate! Ogni volta che quei due litigano, rischiamo che qualcuno dei nostri ci lasci le penne” sentenziò Kimby per l’ennesima volta, mentre armeggiava con un cacciavite sul CAST.

“Lo so, ma Jeremy ha insistito che dovevamo collaborare anche con gli elfi, è una questione politica. Tu invece come sei messo con il diversivo?” chiese Andrew preoccupato dall’avanzata degli orchi. “Intendi questo?” Kimby indossò il CAST sul braccio, appese il cacciavite alla cintura e uscendo dalla copertura puntò la mano verso gli orchi che venivano avvolti da una miriade di schegge energetiche liberate dal terreno, distraendoli poco prima che le frecce di Camlion piovessero sull’ultimo ostacolo che impediva ad Andrew di avanzare verso il cuore della battaglia.

Andrew si mise a correre a spada sguainata per raggiungere i combattimenti nel giardino della piazza, ma la sua carica verso un diavolo della legione fu interrotta bruscamente dalla caduta di un paio di dozzine di umanoidi dal cielo. Uno di essi piombò a un passo da lui, facendogli scudo col proprio corpo da un incantesimo che non aveva notato. Con la mano sinistra teneva uno spadone finemente decorato, come a indicargli di fermarsi, e con una voce metallica disse: “Da qui ci pensiamo noi, creatore”. Stupito e spaventato, Andrew non riusciva a muoversi mentre queste creature affrontavano i diavoli con movimenti rapidi e precisi, con la stessa disinvoltura con cui lui dava una lezione ai ragazzini sbruffoni al campo.

Impiegarono qualche istante a capire l’identità di quelle figure meccaniche, identificate con il nome arcaico di “artificii”. I pochi esemplari funzionanti che avevano visto negli ultimi anni erano goffi, impacciati e i loro movimenti accompagnati dal suono prodotto dai pistoni, dei componenti senza vita, utili solo per recuperare pezzi di ricambio. Questi invece erano agili, silenziosi e costruiti per la battaglia, portavano armi ed erano specializzati in stili di combattimento diversi, con estrema efficacia negli attacchi che completavano con movimenti delle giunture impossibili per un umano.

Andrew e la sua compagnia osservarono come nel giro di pochi minuti, la situazione fu ribaltata. I diavoli erano stati scacciati e quei pochi orchi che non si erano dati alla fuga, erano morti o fatti prigionieri.

La maggior parte dei presenti erano intimoriti dalla loro presenza, e solo alcuni si avvicinarono incuriositi mentre le macchine iniziavano a pattugliare e a mettere in sicurezza la piazza, senza ingaggiare nelle discussioni dei capitani che organizzavano le operazioni di recupero dell’artefatto, rifiutandosi di fornire i dettagli del loro intervento ma chiedendo di parlare con i capi clan.

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